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c a n t o ii. | 35 |
109Di ciò ti piaccia consolar alquanto
L’anima mia, che co la sua persona1
Venendo qui, è affannata tanto.
112Amor, che ne la mente mi ragiona,
Cominciò elli allor sì dolcemente,
Che la dolcezza ancor dentro mi sona.
115Lo mio Maestro, et io, e quella gente2
Ch’eran con lui parean sì contenti,
Come a nessun toccasse altro la mente.
118Noi sedevam tutti fìssi et attenti
A le sue note; et ecco il vecchio onesto,
Gridando: Che è ciò, spiriti lenti?
121Qual negligenzia, quale stare è questo?
Correte al monte a spogliarvi lo spollio,
Ch’esser non lassa a voi Dio manifesto.
124Come quando colliendo biada o lollio3
Li columbi adunati a la pastura,
Cheti senza mostrar l’usato orgollio,4
127Se cosa appar ond’elli abbian paura,
Subitamente lassano star l’esca,
Perchè assaliti son da maggior cura;
130Così vidd’io quella masnada fresca
Lassar lo canto, e fuggir ver la costa,
Come uom che va, nè sa dove riesca;
133Nè la nostra partita fu men tosta.
- ↑ v.110. C. A. la mia persona
- ↑ v. 115. C. M. et io con quella
- ↑ v. 124. C. A. Siccome ricogliendo
- ↑ v. 126. C. M. alcun orgollio,
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