49Mosse le penne sue e ventilòne,1
Qui lugent, affìrmando esser beati,
Che avran di consolar l’anime done.
52Che ài, che par che in ver la terra guati?
La Guida mia incominciò a dirmi,
Poco ambedu’ da l’Angel sormontati.23
55Et io: Con tanta sospezion fa irmi
Novella vision che a sè mi piega,
Sì ch’io non posso dal pensar partirmi.4
58Vedesti, disse, quella antica strega,
Che sola sopra noi omai si piagne?
Vedesti come l’om da lei si slega?
61Bastiti, e batti a terra le calcagne;
Li occhi rivolge a logoro, che gira5
Lo Rege Eterno co le rote magne.
64Quale il falcon, che prima ai piè si mira,6
Inde si volge al grido e si protende
Per lo disio del pasto che lo tira;7
67Tal mi fec’io, e tal, quanto si fende
La roccia, per dar via a chi va suso,
N’andai io infin ove ’l cerchiar si prende.
70Com’io nel quinto giro fui dischiuso,
Viddi gente per esso che piangea,
Giacendo a terra tutta volta in giuso.
73Adhaesit pavimento anima mea,
Senti’ dir loro con sì alti sospiri,
Che la parola a pena s’intendea.
- ↑ v. 49. C. A. le penne poi e ventilonne,
- ↑ v. 54. C. A. donne.
- ↑ v. 54. Done; dono con la desinenza in e come fume, pome o cotali. E.
- ↑ v. 57. C. A. Che io non
- ↑ v. 62. C. M. al logoro,
- ↑ v. 64. C. A. Vastiti,
- ↑ v. 66. C. A. che là il tira;