Pagina:Commedia - Purgatorio (Buti).djvu/436

   426 p u r g a t o r i o   x v i i i. [v. 76-84]

cioè che è necessario, Surga ogni amor; cioè nasca nell’anima, e levisi, che; cioè lo quale, dentro a voi s’accende; cioè dentro nell’anima si svellia, come ’l fuoco quando s’accende de la favilla che è sopita ne la cenere, Di ritenerlo; cioè lo ditto amore, o di lassarlo, in voi; cioè omini, è la potestate; cioè la potenzia; e fa Virgilio accorto Dante che, quando Beatrice li parlerà d’esta materia, tegna a mente che la chiama la libertà de l’arbitrio nobile virtù, e però dice Beatrice; cioè la Santa Scrittura, intende La nobile virtù Per lo libero arbitrio: imperò che così lo chiama, e però guarda; ecco che l’ammonisce, Che l’abbi a mente; cioè tu, Dante, se a parlar ti prende; cioè Beatrice. E qui finisce la prima lezione del canto xviii, et incominciasi la seconda.

La Luna quasi a terza notte ec. Questa è la seconda lezione del canto xviii, ne la quale l’autore nostro finge la purgazione del peccato dell’accidia; e come parlare uditte alcuna di quelle anime, e come entrò in diversi pensieri, sicchè s’addormentò. E dividesi questa lezione in parti sette, perchè prima descrive lo tempo, secondo Astrologia; ne la seconda finge che, avuta la risposta da Virgilio, stando sonnolento sentì grande turba venire di rieto a loro, quive: Perch’io, che la ragione ec.; ne la tersa finge che questa turba andava correndo, e dicendo certi esempli di sollicitudine contra il peccato dell’accidia, quive: Tosto fur sovra noi ec.; ne la quarta finge come Virgilio dimanda questa gente dov’è la via da montare suso, e come ella risponde, quive: O gente, in cui ec.; ne la quinta finge come uno di quelli spiriti si manifesta e prediceli alcuna cosa, quive: Io fui Abbate ec.; ne la sesta finge come due veniano ragionando, e co’ loro esempli biasmando l’accidia, quive: E quei che m’era ec.: ne la settima finge che, passate quelle ombre sopra venendo pensieri, s’addormentò, quive: Poi che furon da noi ec. Divisa la lezione, ora è da vedere lo testo co l’esposizioni litterali, allegoriche e morali.

C. XVIII — v. 76-84. In questi tre ternari lo nostro autore descrive lo tempo, secondo Astrologia, dicendo che allora quando questo ragionamento tra Virgilio e lui fu compiuto, la Luna ch’era passata già la quinta decima et era incominciata a mancare, sicchè lo suo scemo era inverso occidente e lo pieno verso oriente, era tanto scema che ’l suo orto era quasi al terso de la notte, e però dice: La Luna tarda; cioè a levarsi, quasi a terza notte; cioè quasi passata la tersa parte de la notte, Facea le stelle a noi parer più rade; cioè a Virgilio et a me Dante; e questo dice perchè, quando la Luna risplende col suo splendore, fa sparire le stelle piccule che non si vedeno; ma le grandi no; e però, non vedendosi se non le grandi, sparendo le piccule che sono in quil mezzo, paiano le stelle più rade che non paiano, quando si vedeno tutte, Fatta: dico la Luna, come