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   422 p u r g a t o r i o   x v i i i. [v. 40-48]

prio iam, presente1 appresso: tristizia è afflizione de la coniunzione di quello, se è timore e desperazione; et è timore et afflizione del male proprio appresso a bene; e desperazione è afflizione del male proprio, assente appresso, sensa rilevamento alcuno di speransa. Se la displicenzia è del male altrui, genera misericordia; et è misericordia voluntà, secondo la quale desideriamo altri essere senza lo suo male; adunqua da la concupiscibile potenzia esceno, secondo la displicenzia, questi atti; cioè fastidio, abominazione, invidia, dolore, tristizia e misericordia; e secondo la placenzia n’esceno concupiscenzia, desiderio, allegressa, letizia, amore, odio; et oppognanosi2 insieme li atti dell’una colli atti dell’altra; cioè fastidio e concupiscenzia, desiderio et abominazione, allegressa e dolore, letizia e tristizia, amore et odio, invidia e misericordia. E quinci si vede propiamente che cosa è amore, et unde nasce; ma lo nostro autore lo prese più largamente; cioè non pure per lo desiderio del bene altrui; ma anco per lo desiderio del bene proprio, et eziandio per lo desiderio del male; ma3 impropriamente, come ditto è di sopra. E però debbiamo dire che amore, secondo che l’autore lo descrive, è inclinazione naturale dell’animo; cioè de la volontà mossa da l’apprensiva de la cosa piacente; e così appare che amore non è sempre buono: imperò che, come fu ditto di sopra, può essere che l’apprensiva s’inganni; parendoli buono quel che non è; et anco può essere che la inclinazione dell’animo o è troppa, o è poga più, che non si conviene a la cosa che piace, come detto fu di sopra: e così si manifesta l’errore dei ciechi che si fanno duci.

C. XVIII — v. 40-48. In questi tre ternari lo nostro autore finge che, di po’ la risposta di Virgilio fatta a dichiarare che cosa è amore, elli mosse un altro dubbio lo quale Virgilio promette di solvere nell’altra parte, secondo la ragione umana; ma secondo lo spirito la solve la Teologia et a lei lo manda. Dice così: Le tuoe parole; cioè ditte di sopra, e ’l mio seguace ingegno; cioè che seguita le tuoe parole; cioè ch’è capace de le tuoe sentenzie, Rispuosi lui; cioè rispuosi io Dante a Virgilio, m’ànno amor discoverto; cioè m’ànno manifestato che cosa è amore; e bene adiunge lo ingegno suo a le parole di Virgilio: imperò che, se la sensualità non apprendesse quello che dimostra la ragione, invano s’affaticherebbe la ragione. Ma ciò m’à fatto di dubbiar più pregno; cioè questa dichiaragione m’à messo in maggiore dubbio; et ora manifesta lo dubbio: Chè s’amor è di fuori a noi offerto; come dimostra la ragione ditta di sopra: cioè che l’amore è una potenzia che à l’animo lo quale si

  1. C. M. presente, o vero assente appreso: tristizia
  2. C. M. oppognansi
  3. C. M. ma imprimamente, come ditto