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c a n t o    xviii. 415

109Questo, che vive (certo io non vi bugio)1
     Vuol andar su, purchè il Sol ne riluca;
     Però ne dite onde è presso il pertugio.2
112Parole furon queste del mio Duca;
     Et un di quelli spirti disse: Vieni
     Di rieto a noi, e troverai la buca.
115Noi siam di vollia a muoverci sì pieni,
     Che restar non potem; però perdona,
     Se villania nostra giustizia tieni.
118Io fui Abbate in San Zeno a Verona,
     Sotto lo imperio del buon Barbarossa,
     Di cui dolente ancor Melan ragiona.3
121E tal à già l’un piede entro la fossa.4
     Che tosto piangerà quel monastero,
     E tristo fi’ d’avervi avuto possa;
124Perchè il suo fillio mal del corpo intero,
     E de la mente peggio, e che mal nacque,
     A posto in loco di suo pastor vero.
127Io non so, se più disse, o poi si tacque:5
     Tant’era già di là da noi trascorso;
     Ma questo intesi e ritener mi piacque.
130E quei che m’era ad ogni opo soccorso,6
     Disse: Volgeti qua; e viddi due7
     Venir dando all’accidia di morso.8
133Di rieto a tutti dicean: Prima fue
     Morta la gente a cui il mar s’aperse,
     Che vedesser Giordan l’eredi sue.9

  1. v. 109. C. A. e certo
  2. v. 111. C. A. ov’è presso
  3. v. 120. C. A. Milan
  4. v. 121. C. A. piè dentro alla
  5. v. 127. C. A. se el si disse, o s’el si tacque:
  6. v. 130. C. A. uopo
  7. v. 131. C. A. in qua, vedine due
  8. v. 132. C. A. Venirne
  9. v. 135. C. A. vedesse Giordan le rede sue.