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   [v. 121-139] c o m m e n t o 409

minum veri boni naturaliter inserta cupiditas; sed ad falsa devius error abducit. — Se lento amor; cioè che non abbia lo vigore che dè avere, a lui veder; cioè a cognoscere questo sommo bene, vi tira; cioè voi omini, O a lui acquistar: cioè ad acquistar esso sommo bene si va con lentessa e non con ferventissimo amore, come si dè, questa cornice; ne la quale siamo ora, che è la quarta, Di po’ giusto penter, ve ne martira; cioè poi che ve ne siete pentuti1, ve ne purga con la pena questo quarto girone, dove si purga lo peccato de l’accidia; et amare lo sommo bene, cioè di cognoscerlo o d’acquistarlo con pogo vigore, e non quanto si dè: imperò che si dè amare di cognoscerlo e d’acquistarlo più che noi medesmi, è peccato d’accidia lo quale finge l’autore che si purghi ne la quarta cornice. E così fa qui l’autore pur menzione de l’amore che si fa con minore cura che non si dè, perchè quinci si cagiona l’accidia de la quale intende qui: imperò che quando s’ama2 con maggior cura che non si dè, intendendo al modo ditto di sopra, sono altri peccati dei quali non s’intende qui; e questo intendimento è sforsato, e non credo che fusse dell’autore.

C. XVII — v. 133-139. In questi due ternari et uno versetto lo nostro autore finge come Virgilio dimostrò come l’amore disordinato inverso le cose mondane è cagione e radice delli altri peccati mortali; cioè avarizia, gola e lussuria, dicendo cosi: Altro bene è; cioè diverso da quel che è ditto di sopra, che; cioè lo quale, non fa l’om felice: imperò che l’omo, se avesse tutto ’l mondo, non serebbe però felice: imperò che felice è colui che à lo desiderio suo quietato, sicchè niente desideri più; ma stia contento a quel ch’elli à. Questo bene sono tutte le cose mondane create da Dio, le quali tutte sono buone; ma sono bene imperfetto, e però disse Salomone: Vanitas vanitatum, et omnia vanitas — . Non è felicità; questo così fatto bene non è la vera e perfetta felicità, non è la buona Essenzia; questo bene imperfetto non è la buona essenzia; cioè divina, frutto e radice d’ogni ben; cioè non è lo ben perfetto, che è frutto d’ogni bene: imperò che c’è dato per merito de le nostre buone operazioni nell’altra vita: imperò che in questa non si può avere perfettamente, et è radice d’ogni bene: imperò che da lui si diriva ogni bene, sì come da la radice lo frutto de l’arbore. L’amor; cioè umano, che; cioè lo quale, troppo s’abbandona ad esso; cioè troppo si fida in esso bene imperfetto più che non dè, tanto che spesse volte n’abbandona lo ben perfetto; e dice troppo, intendendo pur de l’amore che ad esso va con più cura che non dè: imperò che quel che va con meno cura, non

  1. Pentuto da pentere: verbo trasportato dalla terza coniugazione alla seconda. E.
  2. C. M. s’ama con minore cura