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408 | p u r g a t o r i o xvii. | [v. 124-132] |
di vendetta. E tal; cioè questo così fatto, convien, che mal altrui impronti; cioè faccia o faccia fare male al nimico suo. E questi è l’iroso che fa male al nimico, et ama lo male del nimico suo per la vendetta che desidera più che non dè; e così dimostra che l’amore disordinato de la vendetta: cioè più che non si dè, è radice dell’ira; e così appare che l’amore del male è cagione de la superbia, invidia et ira. E dèsi qui notare che amare queste tre cose dette di sopra moderatamente non serebbe peccato; ma virtù; ma amarle più che non si dè, ch’è quando s’amono1 con male del prossimo, sono li tre peccati ditti di sopra: e quando s’amano meno, sono altri peccati dei quali non si fa qui menzione, perchè non sono al proposito de la materia. Et è da notare che l’autore finge che Virgilio àe dimostrato che la volontà umana simplicimente non ama lo male del prossimo; ma a fine di suo proprio bene, sicchè vero è quello che è ditto, che la volontà non può desiderare simplicemente lo male.
C. XVII. — v. 124-132. In questi tre ternari l’autor finge che, poi che Virgilio puose la divisione de l’amore che corre2 nel male, adiunse la demostrazione de l’amore che corre nel bene con meno vigore che non dè, dicendo prima come l’amore che torce nel male si purga nei tre gironi, dei quali è trattato di sopra, dicendo così: Questo triforme amor; cioè questo amor che torce nel male, ch’è in tre specie diviso; cioè in superbia, invidia et ira, qua giù di sotto; e dimostrò Virgilio a Dante li tre gironi già montati da loro e valicati: imperò che ora erano in sul quarto, Si piange; cioè si purga, come appare, nel primo balso la superbia, nel secondo la invidia, nel terso l’ira, or vo’; cioè ora vollio io Virgilio, che tu; cioè Dante, dell’altro intende; cioè amore; del secondo: imperò che di sopra fu trattato del primo amore che torce noi male, ora tocca lo secondo che3 corre nel bene con meno vigore che non si dè, e però dice: Che corre al ben con ordine corrotto; cioè corre al sommo bene ch’è Iddio, o alle virtù, non con quel4 fervore che si dè; ma con minore. Ciascun; cioè omo, confusamente; cioè non chiaramente, un bene apprende; cioè vede ne l’apprensione sua che li è uno sommo bene, Nel qual; cioè bene, si cheti l’anima: cioè si contenti l’anima, sicchè più non desideri, e disira; cioè e desidera esso sommo bene, Perchè; cioè per la qual cosa, di giunger lui: cioè esso sommo bene, ciascun contende; cioè si sforsa e cercalo quanto può: imperò che come dice Boezio, iii Filosofica Consolazione: Est enim mentibus ho-