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[v. 115-123] | c o m m e n t o | 407 |
stante lo iudicio de la ragione; seguita dunqua che l’ama nel prossisimo, e però dice: Resta: dunqua a concludere, se bene stimo; cioè se ben iudico, dividendo; cioè facendo buona divisione, ch’è questa; lo bene che s’ama o elli è inverso Iddio, o inverso sè medesmo, o inverso ’l prossimo, et in più modi: non può essere così lo male ch’è opposito del bene, non si può amare se non ne’ ditti tre modi. E provato è che ’l male non si può amare in verso sè medesmo, nè inverso Iddio, dunqua rimane che lo male si può amare inverso ’l prossimo; e però dice: Che ’l mal che s’ama; da alcuno omo, è nel prossimo; come dimostrato è, et esso; cioè, Amor; del male inverso il prossimo, nasce in tre modi; cioè si muove per tre cagioni, le quali si diranno di sotto; e così si divide questo amore in tre specie, in vostro limo; cioè nel vostro vizio: imperò che vizio è amare lo male del prossimo, e limo è lo limaccio; e la bruttura e la volontà viziosa si può dire limacciosa e brutta.
C. XVII — v. 115-123. In questi tre ternari lo nostro autore finge che, poichè Virgilio ebbe conchiuso che il male che s’amava non potea essere se non nel prossimo, distinse quello male in tre modi, secondo che per tre fini diversi s’ama il male del prossimo: imperò che nessuno simplicimente può amare lo male; ma a fine di bene, sì: imperò che non ama lo male; ma lo bene che spera quinde seguitare; e però dice così: È chi; cioè è alcuno lo quale, Spera eccellenzia, cioè grandezza di sè medesimo crede ottinere, per esser suo vicin soppresso; cioè se ’l suo vicino serà scalcato e tornato a basso, e sol per questo; cioè per la speransa ch’elli à de l’eccellenzia e grandezza di sè medesimo, brama; cioè desidera, Che sia; cioè lo vicino suo, di sua grandezza in basso messo; cioè che sia privato di sua eccellenzia. E questi è lo superbo che ama l’eccellenzia di sè medesimo, e per aver questa ama e desidera lo male del prossimo suo; cioè che sia diposto del suo stato e de la sua grandezza; e così àe dimostrato che l’amore disordinato de l’eccellenzia di sè medesmo è radice de la superbia. È chi; cioè è alcuno lo quale, podere, grazia, onore e fama Teme di perder; le quali cose elli ama disordinatamente; cioè più che non si conviene, perch’altri su monti; cioè se ’l prossimo suo monta in alto, Ond’ei; cioè unde elli, s’attrista sì; de la grandezza del suo vicino, che ’l contraro ama; cioè bassezza del suo vicino. E questi è lo invidioso che s’attrista del bene altrui, temendo di perdere lo bene suo per quello; lo quale bene ama più che non dè; e così dimostra che l’amore disordinato di potenzia, onore, grazia e fama di sè medesimo è radice de la invidia. Et è chi; cioè et è alcuno lo quale, per ingiuria; che àe ricevuta, par ch’adonti; cioè abbia dispetto e dispiacere, Sì che si fa de la vendetta ghiotto; cioè per questo dispetto si fa desideroso