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dove eravamo salliti; e non udendo niente. Poi mi rivolsi al mio Maestro; cioè a Virgilio, e dissi; io Dante: Dolce mio Padre; ecco che chiama Virgilio padre, di qual’offensione; cioè di qual peccato, Si purga qui nel giro dove semo; cioè in questo quarto balso? Se i piè si stanno; che non possino1 montare più, non stia tuo sermone; cioè non tacere, insegnami; e questa è moralità che, quando l’omo non può operare alcuna virtù coll’atto, almeno dè operare col ragionamento e col pensamento, per non perdere lo tempo al tutto. Questa finzione usa qui l’autore, per mostrare che ragione lo mosse a trattare con questo ordine de la purgazione dei peccati, e per mostrare la loro radice e la loro divisione; e però finge che li piedi; cioè l’affezione e lo desidèro stava del procedere più inanti de la materia e de la purgazione sua; e per questo prega che non stia lo ragionamento, che dimosterrà la sua intenzione.

C. XVII — v. 85-96. In questi quattro ternari lo nostro autore finge come Virgilio lo dichiarò qual peccato quive si purgava; e stendendo lo suo parlare, brevemente li mostrò la radice del bene e del male, dicendo così: Et elli; cioè Virgilio disse, a me; cioè Dante: L’amor del bene; cioè2 lo sommo, ch’è Iddio e le virtù, scemo; cioè manco, Del suo dover; cioè quando s’ama Iddio, e le virtù se esercitano et amansi con minor cura, che non si dè, qui ritta; cioè in questo quarto girone, si ristora; cioè si rammenda: imperò che quive si purga lo peccato de l’accidia, et accidia è esser negligente al bene, Qui si ribatte ’l mal tardato remo; cioè in questo luogo se emenda quello che s’è male indugiato nel mondo; e parla per similitudine: come li naviganti che sono stati infingardi a vogare, sono fatti dal nocchieri ristorare poi nel luogo dove può intendere a loro; così quive s’emenda coll’ardore de la mente la negligenzia avuta in questa vita ne le buone operazioni. Che cosa sia accidia e de le suoe spezie trattato fu per me sopra la prima cantica, e però quive lo ritrovi chi ne vuole sapere; ma perchè, poi ch’à detto lo peccato che quive si purga, estende lo suo parlare per dare ad intendere perchè disse di sopra: L’amor del bene ec.; e dimostra come amore è radice d’ogni virtù e d’ogni vizio: imperò che ogni nostro atto da amore procede, e però dice: Ma perchè più aperto intendi ancora; cioè ma acciò che tu, Dante, intendi ancora più apertamente quel ch’io abbo ditto di sopra, Volgi la mente a me; cioè la tua intenzione a la ragione, e prenderai; tu, Dante, Alcun buon frutto di nostra dimora; cioè alcuna buona utilità di questo stallo che noi facciamo qui, e non procediamo più inanti. Et incomincia ora a dimo-

  1. Possino; desinenza comune anche ai nostri Cinquecentisti, e derivata dalla terza singolare in i con l’aggiunta del no, comechè non piaccia ai Grammatici. E.
  2. C.M. cioè onesto, nel quale s’intende lo bene sommo,