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[v. 40-54] | c o m m e n t o | 399 |
et in questa occisione1 m’ai perduta, e però dice: Or m’ài perduta; che non m’ài più, perchè tu non ài ancora più te, io son essa; cioè Lavina, che lutto; cioè piango, Madre; cioè, o madre Amata, alla tua pria che a l’altrui ruina; cioè prima a la tua morte che all’altre, le quali debbo ancora piangere, e così profeta la morte del padre e la fuga sua che sostenne, morto Enea. E queste cose finge l’autore che fusseno ne la sua fantasia, perchè verisimile è che Lavina ne la morte de la madre dicesse simili parole.
C. XVII — v. 40-54. In questi cinque ternari lo nostro autore finge come, sparite l’imaginazioni, uditte una voce che lo invitò a montare all’altro balso, prima percosso da uno grande splendore; e prima induce una similitudine, dicendo così: Come si frange ’l sonno; cioè come si rompe lo sonno, ove, cioè poi che, di butto; cioè di subito, Nova luce; cioè nuovo splendore, percuote ’l viso chiuso; cioè l’occhio chiuso, Che; cioè lo quale sonno, fratto; cioè rotto da la luce, guizza pria; cioè fa guissare e scuotere l’omo inanti, che mora tutto; cioè vegna meno lo sonno tutto, Così l’imaginar mio cadde giuso; de la mia fantasia, Tosto che ’l lume il volto mi percosse; cioè siccome lo splendore dell’angiulo ch’era apparito mi percosse nel volto, cadde da la mia fantasia lo imaginare, come cade lo sonno quando nuova luce percuote nelli occhi, e fecemi scuotere come fa scuotere lo sonno inanti che al tutto si parta, Maggior assai; cioè lo lume, che quel; cioè lume, ch’è in nostro uso; cioè assai maggiore, che lo lume del Sole che noi usiamo. Io mi volgea; cioè io Dante, per veder dov’io fosse; che mi parea essere stato come addormentato, Quando una voce disse; questa fu quella dell’angiulo ch’era apparito: Qui; cioè in questo luogo è la scala da montare; e però dice, si monta; all’altro balso, Che; cioè la quale voce, da ogni altro intento; cioè da ogni altra2 intentazione, mi rimosse; cioè rimosse me Dante, E fece la mia vollia tanto pronta; cioè tanto sollicita, Di ragguardar chi era che parlava; cioè le parole ditte di sopra, Che mai non posa; cioè la mia vollia, se non si raffronta; cioè col ditto angiulo che avea parlato, cioè se nollo ragguarda ne la faccia. Ma come al Sol; ora induce la similitudine che, come l’occhio umano non può patire lo raggio del Sole; così non potette l’occhio suo patire lo splendore del volto dell’angiulo, e però dice: Ma come al Sol; s’intende, fa lo nostro occhio umano, che; cioè lo quale, nostra vista grava; sì ch’ella ne riceve nocimento, E per soverchio; cioè per soperchio de la sua luce, sua figura vela; cioè cuopre all’occhio umano la sua rota, Così la mia virtù; cioè visiva di me Dante, quivi mancava; cioè nel ragguardamento de la faccia de l’an-