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c a n t o    xvii. 389

73O virtù mia, perchè sì ti dilegue?
     Fra me stesso dicea: chè mi sentiva
     La possa de le gambe posta in tregue.
76Noi eravam dove più non saliva
     La scala su, et eravam affissi,
     Pur come nave ch’a la piaggia arriva:
79Et io attesi un poco s’io udissi
     Alcuna cosa nel nuovo girone;1
     Poi mi rivolsi al mio Maestro, e dissi:
82Dolce mio Padre, di qual’ offensione
     Si purga qui nel giro dove semo?
     Se i piè si stanno, non stia tuo sermone.
85Et elli a me: L’amor del bene, scemo
     Del suo dover, qui ritta si ristora,2
     Qui si ribatte ’l mal tardato remo.
88Ma perchè più aperto intendi ancora,3
     Volgi la mente a me, e prenderai
     Alcun buon frutto di nostra dimora.
91Nè creator, nè creatura mai,
     Cominciò ei, filliuol, fu senza amore,
     O naturale o d’animo; e tu il sai.
94Lo naturale è sempre senza errore;
     Ma l’altro puote errar per male obietto,
     O per troppo o per poco di vigore.4
97Mentre ch’elli è nel Primo Ben diretto,5
     E nel segondo sè stesso misura,
     Esser non può cagion di mal diletto;
100Ma quando al mal si torce, o con più cura,
     O con men che non dè, corre nel bene,
     Contra il Fattore adovra sua fattura.6

  1. v. 80. C. A. nell’altro
  2. v. 86. C. A. Di suo
  3. v. 88. C. A. intenda
  4. v. 96. C. A. E per troppo e
  5. v. 97. C. A. ne’ primi ben
  6. v. 102. C. A. adopra