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[v. 121-129] | c o m m e n t o | 29 |
congrega insieme; così poi per lo caldo del sole si dirada e risolvesi, Ambo le mani; di Virgilio, in su l’erbetta; che era ne la pianura, sparte; cioè ampie e non chiuse, Soavemente; cioè pianamente: imperò che, se avesse fatto fortemente, arebbe fatto cascare la rugiada, il mio Maestro; cioè Virgilio, puose; in su l’erbetta, come fu ditto, Ond’io; cioè Dante, che fui accorto di su’ arte; cioè m’avviddi di quello che volea fare, Porsi ver lui; cioè inverso Virgilio, le guance lagrimose; cioè piene di lagrime: imperò che Dante, non liberato ancora da la concupiscenzia delli occhi, rallegravasi de l’abbondanzia dei beni temporali, e dolevasi de la miseria e de la carenzia di quelli; e però avea pianto de la miseria de l’infernali, come appare di sopra nella prima cantica: anco ne fu ripreso da Virgilio. Ivi mi fece tutto discoperto; cioè Virgilio co le mani rugiadose, Quel color; cioè lo sucidume del volto, che; cioè lo quale, l’Inferno mi nascose; cioè m’appiattò lo Inferno, ch’io nol potetti mai vedere, secondo la sensualità mia, se la ragione noll’avesse guidata; e però finge che Virgilio lo guidasse e facesselelo vedere, e questo s’intende, secondo la lettera. Secondo l’allegoria si dè intendere che Virgilio; cioè la ragione, bagnato amburo 1 le mani, che significano l’operazioni che sono due; cioè coniungere e dividere, ne la rugiada che significa la grazia illuminante che discende di cielo, lavò lo volto a Dante; cioè la concupiscenzia delli occhi che sta in due specie; cioè ne’ beni intrinsechi et estrinsechi. E questa grazia, quando è qui u’è lo splendore de le cose mondane, non àe vigore, et è fredda la mente di quel caldo significato per lo sole col quale ella sempre pugna e combatte, poco viene meno in quella cotale mente che è fredda del caldo dei beni mondani; ma pur verrebbe meno, se grazia non venisse sopra grazia; e però sempre si vuole dimandare, acciò che grazia s’aggiunghi a grazia sì, che cresca e mai non si spegni. Questa così fatta grazia lavò lo sucidume dei peccati; cioè l’appetito e lo desiderio che era anco ne la sensualità di Dante, che nolli avea lassato vedere lo inferno; non avea la sensualità di Dante cognosciuto la viltà del peccato nè ’l suo demerito, se non che la ragione liel’avea mostrato, e non basta cognoscere la viltà del peccato e lo suo demerito ad avere salute: imperò che ci vuole esser mezzo la penitenzia. Et alla penitenzia non si può sallire, se prima non si lassa l’appetito del peccare, che è significato per lo lavamento del volto; et appresso, se non si pillia lo grado dell’umilità significata per lo giunco, del quale si dirà appresso.
C. I — v. 130-136. In questi due ternari et uno versetto lo nostro autore finge come Virgilio misse ad esecuzione lo primo consillio
- ↑ Amburo vale ambedue, dal genit. lat. amborum, come loro da illorum. E.