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c o m m e n t o |
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arrecandosi a tranquillità e pace. E qui si può muovere uno dubbio testuale; come dice l’autore che più grosso fu e più aspro lo velo del fummo e de la nebbia del purgatorio, che quello de lo ’nferno: con ciò sia cosa che quello de lo inferno dovesse essere più nocivo: imperò che quive non è mai sole, come finge che sia in purgatorio? A che si dè rispondere ch’elli è più nocivo ne lo inferno che quive; ma non all’autore, lo quale per lo inferno andò come veditore de le pene de’ dannati; e per lo purgatorio finge ch’elli andasse come purgatore dei suoi peccati, e però questa nebbia lo dovea più gravare che quella de lo inferno che non s’appartenea a lui; ma questa del purgatorio sì. Unde; cioè per la qual cosa, la Scorta mia saputa e fida; cioè Virgilio che significa ora la ragione teorica, la quale è saputa e fida, che non inganna, nè non si lassa ingannare, Mi s’accostò; cioè a me Dante, e l’umerò m’offerse; cioè mi porse la spalla e fecemi spalla, a ciò ch’io m’appoggiasse a lui. E per questo dà ad intendere che in tale ripensamento de la turbolenzia de l’ira l’omo si dè fermare in su la ragione: imperò che sensa essa non ne potrebbe uscire sensa offensione, e dèsi intendere qui la ragione teorica: imperò che la pratica ragione e lo intelletto pratico sta chiuso et impedito: imperò che l’ira è naturale a l’omo; e però dice: Irascimini, et nolite peccare; unde conviene avere grande aiuto da la teorica a distinguere quale ira, e quando si vuole usare, e quando no. Sì come cieco va dietro a sua guida; ecco che fa una similitudine, ch’elli andava attenendosi a la spalla di Virgilio, come va lo cieco di rieto a chi lo guida, Per non smarrirsi; de la via, e per non dar di cozzo; cioè per non percuotere col capo, In cosa che ’l molesti, o forse uccida: imperò che l’uno e l’altro è possibile al cieco, N’andava io; cioè Dante, per l’aire amaro e sozzo; sì come dichiarato è, Ascoltando ’l mio Duca che diceva; cioè Virgilio: Pur guarda; cioè tu, Dante, che da me tu non sia mozzo: imperò che, secondo la lettera, arebbe potuto cadere a terra del balso: e secondo l’allegoria, in tale considerazione arebbe potuto errare sensa la ragione teorica.
C. XVI — v. 16-24. In questi tre ternari lo nostro autore finge quello che si dicea per quelli spiriti, che erano ne la suddetta nebbia, dicendo così: Io; cioè Dante, sentia voci; cioè umane di quelle anime che quive erano, e ciascuna; di quelle voci, pareva Pregar per pace: però che al furore dell’ira è contraria la pace, e per misericordia; la quale era loro necessaria da Dio, per avere la gloria la quale aspettavano, e per potere stare ne la pace e quiete dell’animo, l’Agnel di Dio; cioè Cristo, che le peccata leva: imperò ch’elli è quello agnello1 che fu immolato per noi a Dio Padre in su2 legno de
- ↑ C. M. quello angelo che
- ↑ C. M. in sul legno