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368 | p u r g a t o r i o xvi. | [v. 1-15] |
avea nome Marco, li dichiara lo dubbio, quive: Alto sospir ec. Divisa lezione, ora è da vedere lo testo co l’esponizione litterale e morale, o vero allegorica.
C. XVI — v. 1-15. In questi cinque ternari lo nostro autore per similitudine dichiara quanto era aspra quella nebbia, e ’l modo ch’elli tenne andando per entro; e dice così: Buio d’inferno; cioè l’oscurità infernale, la quale io Dante provai, e di notte privata D’ogni pianeta; cioè e lo buio de la notte1; contra la quale notte anco avea provato Dante quando fu ne lo inferno, dove era oscurità come di notte; e tanto peggio che quanto noi2 abbiamo alcuna luce de le stelle e da le pianete, e quive non era nè stella, nè pianeta, sotto pover cielo, Quanto esser può; allora si dice povero lo cielo quando niuna luce, nè chiarezza à; e così fatto cielo quando à di sotto da sè notte, l’àe più oscura che quello che àe alcuna luce, di nuvol tenebrata; cioè lo buio de la notte ditta di sopra, oscura di nuvoli, sicchè in somma dice che ’l buio de lo inferno, e de la notte privata d’ogni pianeta, e di notte tenebrata di nuvolo sotto povero celo3 quanto esser può d’ogni luce; la quale cosa io provai nello inferno, Non fe al viso mio sì grosso velo; dice Dante che non fece sì grosso coprimento ai suoi occhi, Come quel fummo; ch’era nel terzo giro del purgatorio, che sostenevano coloro che si purgavano dell’ira, ch’ivi; cioè lo quale in quello luogo che ditto è, ci coperse; cioè me e Virgilio, Nè a sentir di così aspro pelo; cioè lo velo non solamente era grosso; ma era aspro alli occhi miei; e però dice nè velo di così aspro pelo a sentire; le quali due cose impacciano li occhi; cioè lo coprimento grosso che non lassa trapassare la vista, e l’aspro pelo che non lassa aprire l’occhio, lo quale vuole le cose delicate; e però seguita: Chè l’occhio stare aperto non sofferse; per l’aspressa del velo ch’era d’aspro pelo tanto, che l’occhio nol sofferse stando aperto: imperò che inquetava l’occhio come farebbe uno pelo aspro, se toccasse l’occhio. E per questo dà ad intendere che la turbazione dell’ira ingrossa tanto ne la mente e diventa sì aspra, che accieca l’occhio de la ragione e de lo intelletto, sicchè niente possano vedere: imperò che stanno chiusi et assorti4 dall’ira; e però ben dice l’autore che scrisse lo libricciuolo, che si legge continuamente ne la scuola: Impedit ira animum, ne possit cernere verum; de la quale cosa, arricordandosi lo iracundo e ricognoscendo lo suo errore, se ne duole et emendasi e correggesi; e però sotto questa finzione intende l’autore la coscienzia che ebbe de la turbulenzia de l’ira che già avea avuta, e così n’ebbe contrizione, et emendosi,