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[v. 115-138] | c o m m e n t o | 359 |
ch’io era veramente ito errando co la mente sopra le ditte tre istorie. Lo Duca mio; cioè Virgilio, che mi potea vedere Farmi com’om; cioè come omo, che del sonno si slega; cioè che si svellia, Disse: Che ài; cioè Virgilio a me Dante, che non ti puoi tenere; cioè in sulle gambe, Ma se’ venuto più che mezza lega: lega è misura che è per 4 millia, Velando; cioè coprendo, li occhi e co le gambe avvolte; et adiunge la similitudine, A guisa; cioè a similitudine, di cui vino o sonno piega; cioè di colui che ’l vino o ’l sonno piega? Unde l’autore si vuole scusare, e dice così: O dolce Padre mio; dice Dante a Virgilio, se tu m’ascolte; cioè se tu mi vuoi udire, Io ti dirò, diss’io; cioè io Dante a Virgilio, ciò che m’apparve; cioè ne la mia fantasia, Quando le gambe mi furon sì tolte; che io non potea andare, come tu ài detto. Seguita per questo che la ragione riprende l’omo, quando troppo sta sopra uno pensieri e tanto si profonda in esso, che dell’altre cose non sente.
C. XV — v. 127-138. In questi quattro ternari lo nostro autore finge come Virgilio risponde a la scusa che Dante volea fare, e prevennelo sapendo quelle visioni ch’elli avea avuto, dicendo così: Et ei; cioè Virgilio rispose a me Dante: Se tu avessi cento larve; cioè mascare, che si metteno a la faccia quelli che si volliono camuffare, o vero contraffare, Sopra la faccia; cioè tua: ecco che parla similitudinariamente; cioè che come lo volto aperto manifesta l’omo, e celato lo cela; così la volontà aperta manifesta lo pensieri, e celata lo cela, Non mi sarian chiuse Le tuoe cogitazion, quantunqua parve; ecco che ben dimostra chiaramente l’autore ch’elli intende per Virgilio la ragione, a la quale è noto ciò che apprende la fantasia: non è niuna sì minima cosa che apprenda la fantasia, che la ragione non n’abba1 incotenente lo suo iudicio. Et ora li manifesta che ànno significato le visione ch’elli2 à veduto, dicendo: Ciò che vedesti; tu, Dante, fu perchè non scuse; cioè non rifiuti, D’aprir lo cuore; cioè tuo, a l’acque de la pace; cioè de la abondanzia de la carità e de la pace, ch’è contraria all’ira, Che da l’eterno Fonte son diffuse; cioè da Dio eterno, che è fonte d’ogni bene, sono sparte. Non dimandai; io Virgilio a te Dante: Che ài; tu, Dante? per quel che face, Chi guarda pur coll’occhio; cioè corporale, che non vede; cioè l’occhio corporale non vede niente, Quando disanimato; cioè privato dell’anima, il corpo giace; cioè quando l’omo è morto. Ma dimandai; io Virgilio te Dante, per darti forza al piede; cioè per farti più veloce e sollicito. Così frugar; cioè sollicitar, conviensi i pigri lenti: molti sono li pigri; cioè che non si sanno mettere a le fatiche; ma pur quando vi si mettono, fanno la cosa