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[v. 16-33] | c o m m e n t o | 349 |
del purgatorio ch’era tondo, che ben che la mattina andasseno in verso l’oriente, la sera si trovonno avere sì girato che si trovonno andare in verso l’occaso; e però dice: Che già dritti andavam: cioè Virgilio et io Dante, in ver l’occaso: tanto eravamo andati intorno al monte, Quando senti’; cioè io Dante, a me gravar la fronte; cioè mia, A lo splendor assai più che di prima: imperò che questo fa lo splendore de la nuova grazia portata dall’angiulo, che venia verso lui che era maggiore che quello di prima; e però dice che li gravava la fronte, perch’era maggiore e più si vergognava del peccato che prima. E stupor m’eran; cioè a me Dante, le cose non conte; cioè non manifeste; cioè meravilliavami perch’io non sapea la cagione del gravamento. Ond’io; cioè Dante, levai la mano in ver la cima; cioè in verso la sommità, De le mie cillia; cioè puosimi la mano sopra le cillia, e fecemi solecchio; cioè riparo, come si fa per lo troppo splendore del Sole alli occhi: questo è nome diminutivo, cioè del Sole, picculo Sole; e questo è fare lo Sole, che è splendore grandissimo sicchè la vista nol può sostenere, sì picculo che la vista lo sostegna come lo fuoco o lo lume, lo quale come contemperato al viso, l’occhio lo sostiene; e però dice quil che seguita, cioè Che del soverchio visibile lima; cioè che è mancamento de l’avansante visibile: quando la cosa visibile è contemperata a la vista dell’occhio, l’occhio la vede sensa fatica; ma quando la cosa fulgida avansa la potenzia visuale, l’occhio abballia per lo superchio e non può ragguardare l’eccessivo splendore, e però è necessario o che l’omo chiuda l’occhio, o che faccia co la mano solecchio a le cillia, lo quale vocabulo è a dire picculo Sole, per parificamento e reduzione del superfluo a parità et equalità de la porta1 visiva. Ma qui si può muovere questo dubbio; cioè perchè ponendo la mano al cillio a fare tetto, l’omo sostiene a guardare in ver lo Sole? A che si dè rispondere: imperò che la mano ripara che i raggi, che vegnano in giù non feriscono li occhi: imperò che la mano ripara.
C. XV — v. 16-33. In questi sei ternari lo nostro autore pone una similitudine, dove si tocca la sentenzia2 che si chiama perspettiva, e dimanda Virgilio de la cagione del suo abballio, a che Virgilio li risponde. Dice così: Come quando da l’acqua; dove ferisce lo raggio del Sole, o da lo specchio; nel quale similmente ferisca lo raggio del Sole, Salta lo raggio all’opposita parte; cioè3 lo raggio che esce dall’acqua o de lo specchio salta ne la parte opposita; cioè se lo Sole fusse in oriente lo raggio serebbe in verso l’occidente, e così per opposito; e se lo Sole è a mezzo di’, risulta in verso settentrione; e se per diritta linea fusse sopra l’acqua, lo raggio4 estornerebbe per