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127Et ei: Se tu avessi cento larve
Sopra la faccia, non mi sarian chiuse
Le tuoe cogitazion, quantunque parve.
130Ciò che vedesti, fu perchè non scuse
D’aprir lo cuore a l’acque de la pace,
Che da l’eterno Fonte son diffuse.
133Non dimandai: Che ài? per quel che face,
Chi guarda pur coll’occhio che non vede,1
Quando disanimato il corpo giace;
136Ma dimandai, per darti forza al piede:
Così frugar conviensi i pigri lenti
Ad usar lor vigilia, quando riede.
139Noi andavamo in ver lo vespro attenti2
Oltre quanto potean li occhi allungarsi
Contra i raggi serotini e lucenti;
142Et ecco a poco a poco un fummo farsi
Verso di noi, come la notte scuro,
Nè da quell’era loco da cansarsi:
145Questo ne tolse li occhi e l’aire puro.3
- ↑ v. 134. C. A. D’aprire il cuore
- ↑ v. 139. C. A. per lo vespero
- ↑ v. 145. C. A. Questo ne tolse agli occhi l’aere puro.
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C O M M E N T O
Quanto tra l’ultimar ec. In questo xv canto lo nostro autore finge come elli sallitte dal secondo balso del purgatorio, dove àe finto che si purghi la invidia, al terso balso dove finge che si purghi lo peccato dell’ira. E dividesi questo canto in due parti, perchè prima descrive lo tempo, e finge come li apparve l’angiulo e guidolli a la tersa scala, e come mosse a Virgilio dubbio de le cose ditte di sopra, e come ne dimandò dichiaragione; ne la seconda, come Virgilio lo dichiara e come si trova nel terso balso, e la visione che ebbe, e come trova una grande nebbia; et è la seconda, quive: Et