Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
338 | p u r g a t o r i o xiv. | [v. 127-141] |
ella come avara disse che volea certa quantità d’oro, unde Mercurio liel promisse; et in quil mezzo che Mercurio andò per l’oro, ella mossa da invidia de la suore1 che dovesse aver tanto bene; cioè che fusse amata da sì fatto iddio, si propose di stroppiare lo bene de la suore. Unde tornato Mercurio coll’oro e datolelo, ella si puose in su l’uscio de la2 cambera d’Erse, e disse a Mercurio che mai non si partirebbe quinde, se prima non si partisse elli; et elli disse: Tu dirai vero che mai non ti partirai costinci: imperò che tu diventerai sasso; e toccòla co la verga sua, et ella s’incominciò a mutare in sasso; e toccò l’uscio de la cambera et intrò dentro ad Erse, et Aglauro si rimase in sull’uscio, diventata sasso. E però dice l’autore che la seconda voce dicesse: Io sono Aglauro che divenni sasso; cioè per la invidia; e così era esemplo questa voce a Dante di fuggire la invidia, pensando lo danno che ne riceve chi è invidioso, che diventa sasso; cioè freddo e duro, privato d’ogni carità. Oltra questa intenzione, a che l’autore àe indutto questa finzione, si può sponere la ditta fizione, secondo l’altra; cioè che Mercurio, omo eloquente e ricco, volendo aver sua intenzione de Erse bellissima, essente accompagnata da le du’ suori3; cioè Pandrosos che era savia e virtuosa, et Aglauro che era avara et invidiosa, vedendo di non potere venire ad esecuzione del suo proposito sensa consentimento dell’una di queste due suori, si misse ad ingannare l’avara con l’oro e coll’eloquenzia; la quale eloquenzia fece stare la sua invidia, come sasso insensibile: imperò che la savia non arebbe potuto ingannare. E questo si potrebbe arrecare a moralità; ma lassolo per brevità, e perchè altri per sè ne pensi. Et allor; cioè allora, per ristringermi al Poeta; cioè a Virgilio, cioè a la ragione, Indietro feci e non innanti ’l passo; cioè ritira’mi a drieto, per accostarmi a Virgilio; cioè allegoricamente tirai a drieto la volontà, per sottometterla a la ragione, sicchè non scorresse in vizio e mancamento: imperò che alcuna volta chi è in stato di penitenzia per paura d’uno vizio pillia tanta astinenzia, che passa il mezzo e va a lo stremo, se non s’accosta a la ragione che reguli la volontà; e però Dante finge che s’accostasse a Virgilio.
C. XIV — v. 142-151. In questi tre ternari col versetto lo nostro autore finge come Virgilio dichiarò lui de le voci di sopra udite, e rende la cagione, perchè li omini sono così disubbedienti riprendendoli di ciò, dicendo: Già era l’aire; unde erano state udite le voci,
- ↑ Suore, suoro o soro, derivati dal soror de’ Latini, gittata l’estrema r; ed anche terminata in e frappostovi l’u. E.
- ↑ Cambera pronunziano ancora alcuni popoli d’Italia e la derivano dalla romana cambra, trammessovi l’e per maggiore dolcezza, come in aghero, maghero per agro, magro e cotali. E.
- ↑ C. M. dalle due suori;