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C. XIV — v. 127-141. In questi cinque ternari lo nostro autore finge come uditte le voci ch’el rimoveno da la invidia, per la pena de l’invidiosi; e finge che fusseno due voci, e che già erano passate l’anime che si purgavano de la invidia; e questo non è sensa cagione, come si dirà. Dice così: Noi; cioè Virgilio et io, sapevam che quelle anime care; che erano quive a purgarsi de la invidia, Ci sentivan andar; questo finge: imperò che ’l cieco, perch’à difetto del vedere, abbonda ne l’udire, però tacendo; cioè non dicendoci nulla, Facevan noi del cammin confidare: imperò che pensavamo se noi non andassimo bene, elle ci sentano andare: tanta carità è ora in loro, ch’elle ci ammonirebbeno ora dell’andare, se non tenessemo buona via. E questo finge per quelli del mondo che, benchè tegnano chiusi li occhi ai beni del mondo che li potesseno muovere ad invidia; sentono l’incendi de la carità, per li quali ammonirebbeno chiunqua in ciò sentisseno errare. Poi fummo fatti soli procedendo; cioè Virgilio et io, perchè non trovammo più nessuno di quelli invidiosi; e questo finge, perchè secondo la lettera a quelli del purgatorio, che non possano più peccare per invidia, non è necessario raffrenamento de la invidia; ma sì confortamento a la carità, ne la quale sono, non perchè ne potesseno1 fare; ma perchè è loro conforto a ragionare di quella et a pensare; c però finse di sopra che udisseno le ditte anime le voci del conforto de la carità; ma ora finge che pur elli sentisse con Virgilio le voci che ritirano de la invidia, perch’elli potea anco peccare per invidia. Folgore parve, quando l’aire fende, Voce, che giunse di contra; cioè a me et a Virgilio, dicendo: Anciderammi qualunque mi prende; lo nostro autore induce poeticamente qui le voci ritrattive de la invidia, come di sopra finse le voci induttive a la carità, bene che quive ne finse tre; cioè due de la Santa Scrittura et una poetica, e quive ne finge due ritrattive de la invidia; l’una de la Santa Scrittura e l’altra poetica. La prima ditta di sopra fue la voce di Cain, lo quale per invidia uccise Abel suo fratello, perchè ad Abel, che facea sacrificio di milliori agnelli che avea ne la mandra, ognia2 cosa andava di bene in mellio; et a lui, che facea sacrificio de le più triste spighe del campo, ogna cosa l’andava male; unde per invidia mosso contra lo fratello l’uccise, unde quando Dio li dè3 la maladizione, dicendo che maleditto sarebbe sopra la terra, elli disse a Dio: Maior est iniquitas mea, quam ut veniam merear. Ecce eijcis me hodie a facie terrœ, et a facie tua abscondar, et ero vagus et profugus in terra:

  1. C. M. potesseno uscire; ma
  2. Ognia, ogna, ogne per ogni incontransi non di rado negli antichi e vivono tuttora in alcune provincie della nostra Penisola. E.
  3. Dè; dette, dall’infinito dere. E.