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pungeno; e qui li pone l’autore per li degeneranti da la loro virtuosa schiatta, come sono tutti li più bastardi, li quali in tedesco si chiamano sterpon — , sì che tardi, Per coltivar; cioè per lavorare, omai; cioè ingiù mai, verrebber meno; seguita la similitudine introdutta; cioè che come la terra ne la quale sono li sterpi si netta d’essi quando si lavora e mondasi; così le schiatte quando sono depurate e mondate de’ gattivi1: e come quando la terra è ben piena di sterpi male si può nettare che non ve ne rimagna; così le schiatte dei gentili omini erano sì imbastardite che, per ammonirli o insegnarli non si emenderebbero; e però viene contando dei virtuosi che vi solevano essere, dicendo: Quel buon Licio; questi fu di Romagna, omo molto virtuoso, bolognese, et Arrigo Mainardi; questi fu da Faensa, omo di grande virtù, Pier Traversaro; questo fu di Ravenna, omo di grande eccellenzia, e Guido di Carpigna; questa è una terra in Montefeltro, de la quale fu Guido valoroso e famoso. O Romagnuoli; ecco a cui dimanda dove sono li virtuosi nominati di sopra, o vero simili a loro in Romagna, tornati in bastardi; cioè imbastarditi de la virtù e da la gentilezza dei vostri antichi caduti! Quando in Bologna; ecco che inchiude l’autore Bologna dentro ai termini di Romagna, facendo menzione di quella tra le terre di Romagna et avendo confinato Romagna, come di sopra si conta, un fabbro si ralligna; cioè uno vile omo nato di vile condizione si fa grande, come fe uno fabbro che ebbe nome Lambertaccio, che si fece sì grande che venne signore quasi di Bologna, e di costui discese messer Fabbro de’ Lambertacci di Bologna? Quando in Faenza un Bernardin di Fosco; questi fu l’antico di messer Bernardino, che signoreggiò Faenza, Vegna gentil di picciola gramigna; cioè di picculo nascimento ingentilisca e facciasi grande? Questo è grande loda di coloro che sono allignati per loro virtù e venuti grandi, et è biasmo di coloro che soleano essere in Romagna grandi, e sono caduti de la loro grandezza.

C. XIV — v. 103-114. In questi quattro ternari lo nostro autore finge che messere Guido, continuando la sua esclamazione, pianga raccordando li virtuosi Romagnuoli che erono2 venuti meno, nominandone assai, dicendo: Non ti meravilliar, Tosco; cioè tu, Dante, che se’ di Toscana, se io piango; cioè io Guido, che sono di Romagna, Quand’io; cioè Guido, rimembro; cioè penso nel mio pensieri, con Guido di Prata; forlivese, Ugolin d’Azzo; da Faensa, che vivette nosco; cioè con esso no’3 visseno Guido da Prata da Forlì et Ugolino

  1. C. M. de’ cattivi:
  2. Erono si disse per gli antichi, affine di serbare una cadenza uniforme, terminatosi in ono le terze plurali del presente indicativo. E.
  3. No’; noi, come de’, dei; po’, poi ec. E.