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[v. 76-90] | c o m m e n t o | 331 |
parlare; e come l’autore procede oltre et uditte due altre voci, e come Virgilio li manifesta quello che significano. E dividesi questa lezione in sei parti: imperò che prima finge come lo ditto messere Guido manifesta sè e ’l compagno a lui; ne la secunda incomincia a parlare dei Romagnoli, quive: E non pur lo suo ec.; ne la tersa si duole de le case dei gentili uomini venute meno in Romagna, quive: Non ti meravilliar s’io piango ec.; ne la quarta parte piange quelle ch’erano imbastardite, quive: Ben fa Bagnacaval; ne la quinta finge l’autore lo suo processo più oltre con Virgilio, quive: Noi sapevam ec.; ne la sesta finge come Virgilio li manifesta che significano le voci udite, quive, Già era l’aire ec. Divisa adunqua la lezione, ora è da vedere lo testo coll’esposizioni allegoriche, o vero morali.
C. XIV — v. 76-90. In questi cinque ternari lo nostro autore induce messere Guido a manifestare sè e ’l compagno a Dante, secondo la sua dimanda fatta di sopra, dicendo così: Per che; cioè per la qual cosa, cioè per la preghiera ch’io feci di sopra, lo spirto che prima parlòmi; cioè messere Guido, Ricominciò; cioè a parlare, dicendo a me Dante: Tu; cioè Dante, vuoi ch’io; cioè Guido, mi riduca Nel fare a te; cioè di nominare me a te, ciò che tu far non vuo’mi; cioè quello che tu non ài volsuto fare a me, che non mi ài volsuto nominare. Ma da che Dio in te; cioè Dante, vuol che traluca Tanto sua grazia; cioè che tu vadi vivo per questi luoghi, che non è piccula grazia, non ti sarò scarso; ch’io non mi ti manifesti. Però sappi ch’io son Guido del Duca; questo fu messere Guido del Duca dal Brettinoro di Romagna, lo quale fu molto invidioso, come appare nel testo; e l’altro, con cui àe fitto l’autore che abbia parlato, fu messere Ranieri dei Calvoli da Furlì di Romagna ancora. Fu il mio sangue d’invidia sì arso; tocca lo nostro autore che la invidia sia cagionata del sangue: imperò che dal sangue viene la carità e l’amore; lo quale amore immoderato di sè medesimo è cagione de la invidia: imperò che a sè vuole lo invidioso ogni bene et ogni onore, e tutti li altri ne reputa indegni, e duolsene et attristasene quando ne vede ad altrui. Benchè la virtù sia abito de la mente bene costituta, e lo vizio sia privazione di quello abito, e lo subietto de la virtù sia l’anima; niente di meno lo incitamento e notricamento de la privazione d’essa sta nelle cose corporali; e però dice: Fu il mio sangue d’invidia sì arso; cioè sì acceso dell’amore proprio immoderato, Che, se veduto avessi; cioè io Guido, om farsi lieto; per alcuno bene ch’elli avesse, Visto m’avresti; cioè tu, Dante, di livore sparso; cioè macchiato di lividore: imperò che ’l sangue quando riarde, diventa nero et induce sì fatto colore ne la pelle di fuore. Di mia semente; cioè de la mia colpa, cotal paglia: cioè cotal