Questa pagina è stata trascritta e formattata, ma deve essere riletta. |
328 | p u r g a t o r i o xiv. | [v. 43-52] |
dine, et assegna la cagione, o per sventura Del luogo; parla qui l’autore, secondo lo comune uso dei vulgari, che pognano le felicità e le disavventure essere secondo li luoghi, come dice Salustio: Quique auctores culpam suam ad negotia transferunt — , o per male uso che li fruga; cioè la mala consuetudine che li stimula, e questa cagione è più vera. Ond’ànno sì mutato lor natura; cioè per queste due cagione, o per qual si sia di queste due, ànno sì mutato li abitatori la natura umana, che è per sè disposta a virtù: con ciò sia cosa che l’omo sia ragionevile, Li abitator de la misera valle; cioè de la valle d’Arno, Che par che Circe li avesse in pastura; cioè pare che siano trasfigurati e mutati in bestie, come mutava Circe li omini coi suoi beveraggi incantati, e faceali come fiere pascere l’erbe. Di questa Circe fu ditto ne la prima cantica nel canto xxvi, ritrovisi quive.
C. XIV — v. 43-52. In questi quattro ternari lo nostro autore finge come quell’anima che di sopra parlava de la valle d’Arno 1, ditto in generale del vizio delli abitatori, ora ne dice specialmente dicendo così: Tra bruti porci; ecco che chiama quelli del Casentino porci bruti, essendo dati al vizio de la lussuria per lo quale l’omo s’assimillia al porco, come dice Boezio iv della Filosofica Consolazione: Fœdis, immundisque libidinibus immergitur, sordidœ suis voluptatibus detinetur. — più degni di galle; cioè ghiande, Che d’altro cibo: chi tiene li costumi del porco è degno d’essere cibato come porco, fatto in uman uso: imperò che lo cibo fatto ad uso de l’omo si conviene a chi è omo, e non a chi è porco, Dirizza prima il suo povero calle; cioè Arno dirissa tra quelli del Casentino, che sono porci per immondessa, lo suo picculo rivo. Botoli trova; poi ch’è disceso di Casentino, et è ingrossato alquanto per l’acque del Casentino che vi cadeno dentro, viene a Bibbiena et entravi l’Archiana; e poi disceso in giuso trova li Aretini, li quali l’autore finge che la ditta anima chiami Botoli; perchè botoli sono cani picculi da abbaiare più che da altro; e così dice che sono li Aretini atti ad orgoglio più che a forze, e però dice: poi venendo in giuso; cioè in verso Fiorensa e Pisa, Ringhiosi più che non chiede lor possa; cioè più superbi che non richiede la loro potenzia: delli Aretini parla, Et a lor; cioè alli Aretini, disdegnando torce ’l muso; lo detto fiume in verso Fiorensa, e lassa Arezzo dall’uno lato. Vassi caggendo; lo detto fiume per luoghi più bassi: li fiumi non correrebbeno, se non trovasseno lo luogo più basso; unde si può dire che quando correno, cadeno, e quant’ella più ingrossa; la fossa d’Arno, s’intende, Tanto più trova da can farsi lupi; cioè più trova omini da trasmutarsi da
- ↑ C. M. finge che lo ditto spirito, o vero come