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c a n t o    xiv. 321

73Lo dir dell’una, e dell’altra la vista
     Mi fe vollioso di saper lor nomi,1
     E dimanda ne fei con preghi mista.
76Per che lo spirto, che prima parlòmi,23
     Ricominciò: Tu vuoi ch’io mi riduca4
     Nel fare a te ciò che tu far non vuo’mi.
79Ma da che Dio in te vuol che traluca5
     Tanto sua grazia, non ti sarò scarso;
     Però sappi ch’io son Guido del Duca.
82Fu il mio sangue d’invidia sì arso,6
     Che, se veduto avessi om farsi lieto,
     Visto m’avresti di livore sparso.
85Di mia semente cotal paglia mieto.7
     O gente umana, perchè poni ’l core
     Dov’è mistier di consorte divieto?8
88Questi è Ranier; questo è ’l pregio e l’onore
     De la casa dei Calvoli, ove nullo9
     Fatto s’è erede poi del suo valore.10
91E non pur lo suo sangue è fatto brullo
     Tra ’l Po e ’l monte e la marina e il Reno,
     Del ben richiesto al vero et al trastullo:
94Chè dentro a questi termini è ripieno
     Di velenosi sterpi, sì che tardi,11
     Per coltivar, omai verrebber meno

  1. v. 74. C. A. Mi fer voglioso
  2. v. 76. C. A. Perchè lo spirto, che di pria parlòmi,
  3. v. 76. Parlòmi; mi parlò. I padri nostri , sebbene la voce del verbo terminasse con l’accento, lasciavano talora di raddoppiare la consonante della particella pronominale od affisso o pronome. E.
  4. v. 77. C. A. mi deduca
  5. v. 79. C. A. Ma quando vuole Iddio che in te riluca
  6. v. 82. C. A. Fu il sangue mio da invidia sì riarso
  7. v. 85. C. A. sementa
  8. v. 87. C. A. consorti
  9. v. 89. C. A. da Calvoli
  10. v. 90. C. A. s’è reda
  11. v. 95. C. A. venenosi
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