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[v. 10-36] | c o m m e n t o | 303 |
in verso mano ritta, come finge l’autore che sempre vadano per lo purgatorio; come per lo inferno in verso mano manca; e di questo è stato di sopra renduto ragione. E voltosi al Sole, parlò Virgilio in questa forma: O dolce lume: veramente lo lume del Sole è cagione che le cose si vedeno, ch’altramente non si vederebbeno 1, come non si vedeno di notte, e questo vedere è dolce cosa a l’omo, a cui fidanza io entro; cioè io Virgilio con Dante, Per lo nuovo cammin; cioè per lo purgatorio di sopra ditto, che sensa ’l Sole non si può andare per lo purgatorio, e renduta fu la cagione, tu me; cioè Virgilio, conduci, Dicea; Virgilio, come condur si vuol quinci entro; cioè in questo luogo del purgatorio. Tu scaldi il mondo; coi raggi tuoi, tu sovr’ esso luci; illuminandolo, S’altra cagion in contraro non ponta; cioè non stroppia, Esser den sempre li tuoi raggi duci; cioè conduttori e guida delli omini. Benché l’autore per la lettera parli del Sole materiale; allegoricamente intese de la grazia illuminante ili Dio, sensa la quale l’omo non esce del peccato, e viene a la penitenzia. E finge l’autore che Virgilio; cioè la ragione sua, la chiami non dimandando da lei alcuna cosa: imperò che già l’avea recevuta, come ditto è di sopra; ma congratulando e ricognoscendo lo suo beneficio, lo manifesta e mostra a Dio di ricognoscerlo, dicendo le parole preditte; cioè: O dolce lume; cioè o dolce grazia illuminante di Dio, a cui fidanza io entro Per lo nuovo cammin: nuovo cammin era intrare a la purgazione de la invidia, tu me conduci: imperò che la grazia di Dio è quella che ci conduce nell’opere virtuose, come condur si vuol quinci entro; cioè scaldandomi col tuo caldo de la tua carità et illuminandomi sì, ch’ io ricognosca quanto è lo bene de la carità, e quanto è lo male de la invidia, e lo modo come tal peccato si vuole purgare. Tu scaldi il mondo; cioè l’omo, che è lo minor mondo, co l’ardore de la tua carità, tu sovr’ esso luci; cioè sopra l’anima umana, infondendovi la tua luce e il tuo sapere, sicchè ricognosca l’offesa sua, e purghisi da essa, S’ altra cagion; qui dice che sempre la grazia di Dio c’ illuminerebbe, se noi non ce ne rendessimo indegni coi nostri vizi e peccati.
C. XIII — v. 22-36. In questi cinque ternari lo nostro autore finge come, girando ’l monte nel secondo balso, uditte tre voci che li denno ammirazione; e però ne dimanda Virgilio, come apparrà in quel che seguita. Dice così: Quanto; cioè spazio, di qua; cioè nel mondo, dove era Dante quando questo scrisse, per un millio si conta: millio è una lunghessa di terreno che sia mille pertiche, e chiamasi millio da mille, Tanto di là; cioè su per lo secondo balso del purgatorio, eravam noi; cioè io Dante e Virgilio, già iti; girando lo
- ↑ Vederebbeno, voce primitiva e regolare dall’infinito vedere. E.