103Spirto, diss’ io, che per salir ti dome,
Se tu se’ quelli che mi rispondesti,
Fammiti conto o per loco o per nome.
106Io fui Sanese, rispuose, e con questi
Altri rimendo qui la vita ria,
Lagrimando a Colui che sè ne presti.
109Savia non fui, avvegna che Sapìa1
Fossi chiamata, e fui delli altrui danni
Più lieta assai, che di ventura mia.
112E perchè tu non credi ch’ io t’ inganni,
Odi s’ io fui, com’ io ti dico or, folle:
Già descendendo l’ arco de’ miei anni,
115Eran li cittadin miei presso a Colle
In campo giunti coi loro avversari;
Et io pregava Iddio di quel che volle.
118Rotti for quivi, e volti ne li amari
Passi di fuga; e vedendo la caccia,
Letizia presi a tutte altre dispari
121Tanto, ch’ io volsi in su l’ ardita faccia,2
Gridando a Dio: Omi più non ti temo;
Come fa il merlo per poca bonaccia.
124Pace volsi con Dio in su l’ estremo
De la mia vita; et ancor non serebbe
Lo mio dover per penitenzia scemo,
127Se ciò non fusse, che a memoria m’ ebbe
Pier Pettinaro in suoe sante orazioni,
A cui di me per carità rincrebbe.
- ↑ v. 109. Donna Sapìa fu moglie di Ghinibaldo de’ Saracini, e con suo marito fondò un ospizio pe’ viandanti nel 1265. Ella risponde a Dante, non come latina; ma come italica, qualità allora distinte e per la diversità delle razze, e per quella delle leggi personali. E.
- ↑ v. 121. C. A. io in su levai l’