22Quanto di qua per un millio si conta,1
Tanto di là era vani noi già iti
Con pogo tempo, per la vollia pronta;
25E verso noi volar fuoron sentiti,2
Non però visti, spiriti parlando
A la mensa d’ amor cortesi inviti.
28La prima voce che passò volando,
Vinum non habent, altamente disse,
E dietro a noi l’ andò reiterando.
31E prima ch’ ei del tutto non s’ udisse
Per l’allongarsi, un’altra: Io sono Oreste,3
Passò, gridando, et anco non s’ affisse.
34O, diss’ io, Padre, che voci son queste?
E come dimandai, ecco la terza
Dicendo: Amate da cui male aveste.4
37E il buon Maestro: Questo cinghio sferza
La colpa de la invidia, e però sono
Tratte d’amor le corde de la ferza.
40Lo fren vuol esser del contrario sono:
Credo che l’udirai, per lo mio avviso,5
Prima che vegni al passo del perdono.6
43Ma ficca il viso per l’ aire ben fiso,7
E vedrai gente innanzi a noi sedersi,
E ciaschedun lungo la grotta assiso.
46Allora più che prima li occhi apersi;
Guarda’mi inanzi, e viddi ombre con manti
Al color de la pietra non diversi.
- ↑ v. 22. C. A. migliaio
- ↑ v. 25. C. M. C. A. furon
- ↑ v. 32. C. A. Per allungarsi,
- ↑ v. 36. Amate, da cui male aveste. — Si consideri la grazia di codesto modo ellittico: Amate gli uomini, da cui male aveste. E.
- ↑ v. 41. C. A. per mio
- ↑ v. 42. C. A. che giunga al
- ↑ v. 43. C. A. gli occhi per