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[v. 118-126] | c o m m e n t o | 293 |
vano con gravi pesi addosso chinati più e meno, secondo la gravità del peccato; e questa pena non è stata portata per lui, come dunque purgato è? A questo si può rispondere ch’elli àe portato la pena, che li altri che sono nel mondo portano, quel poco di tempo che stette in considerazione del detto peccato che fu sufficiente a purgarlo de la colpa, e forsi d’alcuna parte de la pena in quanto è ito chinato con loro, guardando le storie e le finzioni de’ poeti ditte di sopra le quali inchinavano, la testa sua; cioè la sua altezza ad umilità considerando lo male che seguita da la superbia; et a questo lo indusse l’altessa delle umilità veduta ne le prime istorie. E benchè non dica che portasse carico, pur dice ch’andò chinato per vedere le diverse figure, che rappresentavano la pena temporale e mondana consecuta 1 per lo peccato de la superbia; e dèsi intendere che lo carico del suo peccato era quello che lo facea andare chinato.
C. XII — v. 118-126. In questi tre ternari lo nostro autore finge come elli muove uno dubbio a Virgilio, e Virgilio lo dichiara. Dice così: Et io; cioè Dante dissi, s’intende: Maestro; cioè Virgilio, dì; cioè dichiarami, qual cosa grieve Levata s’è da me; Dante ora, che nulla quasi Per me fatica andando si riceve? Meravilliasi Dante che non sente fatica ne l’andare, come sentia prima; a che Virgilio, Rispuose; questo che seguita: Quando i P; cioè li peccati sei mortali, che son rimasi Ancor nel volto tuo; cioè di te Dante, presso che stinti: cioè quasi che cancellati; ma pur non sono cancellati al tutto, Saranno, come l’un; cioè lo peccato de la superbia, che è spento in tutto, nel tutto rasi; cioè al tutto cancellati, Fien li tuoi piè; cioè le tuoe affezioni, dal buon voler sì vinti; cioè da la buona volontà, Ched 2 ei non pur fatica non sentranno: alcuna volta non è fatica a l’omo a vincere li appetiti carnali e li affetti disonesti; ma non sente l’omo diletto di levarli 3 suso a le virtù. E questo è quando v’è alcuna gravità di peccato; ma quando non n’è gravessa nulla di peccato, diletto è a montare perii gradi de le virtù; e però dice: Ma fi’ diletto loro esser su pinti; cioè da la grazia cooperante e consumante di Dio; e questo è quando s’accendono li fervori de la carità nell’anima. Ma potrebbesi dubitare che vuole dire l’autore che i sei P sono presso che spenti, e lo settimo è cancellato al tutto? Per questo dà ad intendere l’autore quello che si dice ne la Santa Scrittura; che la superbia è radice di tutti li peccati, et incitatrice di tutti li peccati; e però, stante la superbia nell’anima, èvi lo incitamento di tutti peccati; e, rimossa quella, è rimosso lo fomento di tutti li peccati. E perchè l’autore era purgato e libero del peccato