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292 | p u r g a t o r i o xii. | [v. 109-117] |
arctus fert ad cœlestia callis, Devexa ad mortem ducit et ampla via: la via de la penitenzia è alta e stretta.
C. XII— v. 109-117. In questi tre ternari lo nostro autore finge come si volseno a montare su per la scala al secondo balso dicendo così: Noi; cioè Virgilio et io Dante, volgemmo ivi; cioè a la scala che ci à mostrato l’angiulo, le nostre persone; cioè per montar su, Beati pauperes spiritu; questa è parola dell’Evangelio che è a dire che beati sono coloro che sono poveri per volontà: imperò che tali poveri non sono superbi; ma sono umilissimi, sì come fu san Francesco, voci; cioè di quelle anime che si purgavano del peccato de la superbia in sul primo balso, Cantaron sì; cioè per sì fatto modo, che nol diria sermone; cioè che non si potrebbe esprimere con parole, come era fatto quel canto. Mostra qui l’autore che l’anime, che si purgano de la superbia, faceano festa del montamento di Dante: imperò che in loro è carità. Ahi; questa è una interiezione che significa ammirazione, quanto son diverse quelle foci; cioè del purgatorio, Dalle infernali; cioè da quelle dell’inferno! chè quivi; cioè nel purgatorio, per canti S’entra; dell’anime che montano, e laggiù; cioè nei cerchi de lo inferno, per lamenti feroci: però che non si sente quive, se non lamenti e biasteme, perchè v’è odio 1 e mala volontà; et in purgatorio canti e lode di Dio: imperò che quive è carità et amore; e così nel mondo tra li omini viziosi e peccatori si biastema e parlasi sempre male, e tra’ buoni et omini di penitenzia si parla sempre bene. Già montavam; cioè Virgilio et io Dante, su per li scalon santi; de la seconda scala che monta al secondo balso, Et esser mi parea; cioè a me Dante, troppo più lieve, Che per lo pian non mi parea davanti; e di questo era cagione, perchè era alleggerito da uno gravissimo peccato; cioè de la superbia, da la quale purgato era al modo che si purgano quelli che sono nel mondo, che si purgano da la colpa per confessione, contrizione, e satisfazione; ma non da la totale pena, che tutta la nostra vita non vasterebbe, se tutta stesse in pena, ai peccati che si commetteno; e la pena non aggrava l’anima, ma tormentala: la colpa è quella che aggrava. Ben potrebbe Iddio per grazia concedere al peccatore tanto dolore in questa vita del suo peccato, ch’elli serebbe libero da la colpa e da la pena, come colui ch’è assoluto dal papa da la pena e da la colpa; ma l’autore parla secondo lo comune modo del vivere delli omini mondani, che peccano e fannone penitenzia, e poi vivendo anco peccano e tornano a la penitenzia, e così infine a l’ultimo fine. E qui si può muovere uno dubbio; come dice Dante che era purgato dal peccato de la superbia, che di sopra àe ditto che coloro che si purgano 2 da quel peccato, portavano questa pena; che anda-