Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
20 | purgatorio i. | [v. 49-54] |
sono in vita eterna. Et induce l’autore Virgilio a parlamentare con lui: imperò che a la ragione s’appartiene di fare questa esaminazione, e non a la sensualità: anco la sensualità dè stare cheta e reverente, e però finge che s’inginocchiasse e stesse tuttavia in ginocchione, infine che durò lo parlamento con Catone.
C. I — v. 49-54. In questi due ternari lo nostro autore finge come Virgilio, sua guida, risponde ai dimandi di Catone; ma prima in generale e poi nella seguente lezione specialmente, dice così, inducendo prima Dante a fare riverenzia a Catone: Lo Duca mio; cioè Virgilio, che significa la ragione, come fu detto ne la prima cantica, lo quale finge l’autore che anco lo guidasse per lo purgatorio: imperò che la ragione guida l’omo per li gradi de la penitenzia, allor mi diè di pillio; cioè m’afferrò, poi che Catone ebbe fatto li sopraditti dimandi, E con parole; dicendo: Falli reverenzia, e con mani; piegandomi, e con cenni; inchinando lo corpo mio, et anco inchinando col suo, et inginocchiandosi, Reverenti mi fe le gambe e il cillio; cioè mi fe mostrare atto di reverenzia co le gambe, inginocchiandomi, e col cillio inchinando lo capo. Per questo puossi notare li modi e li segni de la reverenzia, e che la ragione comandò a la sensualità che stesse cheta. Poscia rispuose a lui; cioè a Catone Virgilio: Da me non venni; ecco che dimostra come per sè medesimo niuno è sofficiente ad uscire del peccato e venire a la penitenzia; e questo risponde la ragione significata per Virgilio: imperò che c’è bisogno la grazia preveniente, illuminante e cooperante, et ecco che ’l manifesta: Donna scese dal Ciel; questa fu Beatrice, che significa la grazia cooperante e consumante, senza la quale niuno si può salvare, e questa mai non si dà da Dio se le due prime non vanno inanti, de le quali pienamente è detto ne la prima cantica, sopra lo canto secondo: chi vuole vedere, ritrovilo quive. per li cui preghi; cioè di detta donna, De la mia compagnia costui sovvenni; cioè io Virgilio sovvenni Dante, facendoli compagnia per li preghi de la detta donna. E questo dice, per mostrare che la ragione pratica et inferiore, significata per Virgilio, non guiderebbe bene la sensualità, nè perfettamente per li gradi de la penitenzia, se non fusse la grazia cooperante e consumante. E qui finisce la prima lezione.
Ma da ch’è tuo voler ec. Questa è la seconda lezione del canto, e seconda parte de la principale divisione, nella quale si contiene li ragionamenti che Virgilio ebbe con Catone, e l’osservanzie che convenne osservare a Dante, secondo l’ammonimento di Catone; e dividesi in parti vii, perchè prima Virgilio specifica singularmente a Catone la loro condizione di sopra in genere; ne la seconda parte lo prega che li lassi andare, e risponde a le ragioni mosse prima per Catone, quive: Or ti piaccia gradir ec.; ne la terzia finge come