Questa pagina è stata trascritta e formattata, ma deve essere riletta. |
286 | p u r g a t o r i o xii. | [v. 61-69] |
mo; e però dice: quivi; cioè ch’erano in quello luogo, Mirar; cioè
meravilliarsi, farebbe; non ogni 1 grosso dipintore e disegnatore, che
di ciò pogo s’intenderebbe; ma lo fine dipintore e disegnatore: imperò che ritrarrebbe propriamente come stanno, ogni ingegno sottile?
L’ingegni sottili sono quelli che cognosceno le proprie dipinture e
disegnature, e non li grossi ingegni; e però si meravillierebbeno de
la sottilliezza dell’artificio. Morti lì; cioè quive in quella scolpitura,
i morti; parevano morti, e i vivi; cioè quelli che doveano mostrarsi
vivi, parean vivi; come doveano parere: tanto erano ben fatti. Non vidde mei; cioè mellio, di me; Dante, chi vidde il vero; cioè qualunqua vidde li fatti de le istorie e finzioni ditte di sopra, Quant’io calcai; cioè di tanto quanto io Dante calcai; cioè scalcai coi piedi,
quanto a la lettera; ma allegoricamente, quanto io Dante reputai
vile e da dispregiare: imperò che tutti sono stati atti superbi da
dispiacere a chi si pente de la superbia, e purgasene cola pena al
peccato conveniente, fin che chinato givi; cioè in fine a tanto ch’io
andai chinato colli occhi a lo spasso, per vedere le ditte figurazioni,
quanto a la lettera; ma quanto all’allegoria, in fin che la mente mia
stette involta in queste vili materie per lo peccato de la superbia,
considerando lo male che ne seguita. Et è da notare che l’autore
tacitamente commenda qui li poeti e li scrittori, che rappresentano
le cose passate sì propriamente, che paiano a chi le legge essere
presenti; et anco commenda la sottilliessa del suo ingegno che sì
propriamente le cose lette apprendea, come chi l’avea vedute. Seguita la secunda lezione del canto xii.
Or superbite. In questa secunda lezione del canto xii lo nostro
autore finge come pervenne a la scala, unde si montava al secondo
balso del purgatorio; e come si trovò purgato del peccato de la superbia. E dividesi questa lezione in 6 parti: imperò che prima pone
una invezione contra li superbi, e come Virgilio lo sollicita; ne la
secunda, come vidde l’angiulo che mostrava loro la sallita al secondo balso, quive: Io era ben ec.; ne la tersa finge ch’elli li menasse
a la scala unde si montava, quive: A questo annunzio ec.; ne la
quarta, come montonno su per la scala e quel che uditteno cantare,
quive: Noi volgemmo; ne la quinta dimanda Dante Virgilio, che è
la cagione, ch’elli si sente più leggieri che non era al primo balso,
quive: Et io: Maestro, ec.; ne la sesta finge che, udita la cagione da
Virgilio, elli se ne volse certificare, e come la trovò vera, quive:
Allor fec’io ec. Divisa adunqua la lezione, ora è da vedere lo testo
co la esponizione litterale et allegorica.
C. XII — v. 70-84. In questi cinque ternari lo nostro autore
- ↑ C. M. non ogni dipintore e disignatore; ma lo fino disignatore: