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284 | p u r g a t o r i o xii. | [v. 58-60] |
detta de la morte del filliuolo et aspettò Ciro, lo quale non credendosi trovare più scontro, abbandonatamente cavalcava per la Scizia. E venuto a luogo de le insidie fu sconfitto da la reina e preso; e fattoli talliare lo capo, lo misse in un otre pieno di sangue umano dicendo: Tu ài avuto disiderio e sete di spargere lo sangue umano, et io di sangue ti sazio. Funno morti in questa battallia 11 1 mila di Persi, che non ne campò pur uno che portasse la novella, come scrive 2 Floro Iulio abbreviatore di Trogo Pompeio nel primo libro. E però dice lo testo: Mostrava; cioè lo pavimento de la prima cornice, la ruina e ’l crudo scempio; dei Persi e Medi che funno morti 11 1 mila, Che fe Tamiri; reina a Scizia, quando disse a Ciro; re dei Persi: Sangue sitisti; cioè desiderasti tu, Ciro, et io; cioè Tamiri, di sangue t’empio; mettendoti in questo otre pieno di sangue. E per questo si conviene questa istoria a la materia, perchè Ciro per superbia di signoreggiare capitò male, finita la sua superbia da una femmina: noli vastavano li Persi, e Medi, et Assiri, e Lidi, anco volea li Scite subiugare al suo dominio.
C. XII — v. 58-60. In questo ternario lo nostro autore finge che nel ditto luogo fusse scolpita la storia di Giudit e d’Oloferne, eom’è scritto ne la Bibbia in libro Giudit, capitolo xiii. Nabucodonosor re delli Assiri, avendo guerra col populo di Israel, mandò grandissimo esercito contro lo ditto populo e fece capitano del suo esercito uno suo cavalieri che avea nome Oloferne; et in processo di tempo lo ditto capitano avea preso tutte le tenute del populo di Dio, se non Bettulia e Gerusalem; e quella Bettulia avea assediato sì strettamente, che convenia arrendersi. Era ne la città una santissima donna, vedova molto savia e bella la quale, sentendo l’afflizione de la città, si puose in cuore di liberare la sua città co la grazia e co l’aiuto di Dio; e perciò adornata quanto seppe, uscitte fuora de la città notificando a le guardie de la porta la sua andata, a ciò che li aprisseno quando tornasse. E pervenuta nel campo dei nimici, presa pregò che la menasseno al capitano: imperò ch’ella venia con certa imbasciata a lui; e presentata a lui disseli che era uscita de la città per la fame, e che la città non si potea più tenere. Allora Oloferne vedendola tanto bella e savia con onesti costumi, innamorato di lei dimandòla 3 s’ella volea stare con lui, e rispostoli che sì, fece Oloferne grande cena et inebriossi tanto di vino e di vivande come piacque a Dio, che posto a diacere 4, incontenente fu addormentato; unde ella pianamente levatasi et adornatasi dei suoi vestimenti, prese la spada d’Oloferne e talliòli 3 la testa e misela ne la