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c o m m e n t o |
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la profonda notte; cioè de la profonda oscurità, Che sempre nera fa la valle inferna; cioè lo inferno che è nero et oscuro, perchè sempre
v’è oscurità e notte? E questo è quanto a la lettera; ma quanto all’allegoria s'intende profonda cechità di mente che viene per la
colpa, e fa intendere la mente pure a le cose vili e sozze, come è
lo vizio e lo peccato; e così fa la valle inferna nera; cioè piena
d’ignoranzia et intendente a le cose terrene. Son le leggi d’abisso così rotte? Questa dimanda fa Catone a Dante e a Virgilio; se le
leggi dell’inferno sono sì rotte, che l’omo ne possa uscire quando
vuole; e questo dice, perchè sa che sono venuti de l’inferno. O è mutato in Ciel nuovo consillio; ecco l’altro dimando che fa anco a
proposito; cioè se in cielo è fatto nuovo statuto, Che dannati; cioè
che voi dannati, venite a le mie grotte; cioè a queste grotte di questo monte, che sono inanti al purgatorio, dove io Catone sono posto
a guardia? E questo è quanto a la lettera dove si dimostra che impossibile sia uscire dell’inferno et andare in purgatorio; ma quanto
a l’allegoria dimostra che chi è nel mondo ostinato nel peccato impossibile sia a venire a stato di penitenzia per due vie, che l’una
e l’altra è necessaria cagione; l’una è per la legge del peccato che
induce morte eterna, l’altra è per consillio e statuto celeste fatto
ab eterno; cioè che l’ultima dannazione è irrevocabile; e questo
s’intenderebbe de’ mondani che sono presciti esser dannati, et
assai chiaro si dimostra nel testo quando, dice: Che dannati. Et è da
notare che però finge l’autore che Catone sia posto a questo officio,
perch’elli fu molto amatore di iustizia, intanto ch’elli fu tenuto
severo e rigido, e fu omo molto esemplare, come detto fu di sopra;
e però dice a le mie grotte; ma allegoricamente per Catone intende
l’autore lo stato libero dell’anima: imperò che a volere uscire de
peccato, et andare a la penitenzia, è necessario che l’animo sia
libero da ogni impaccio, e lassi ogni lentezza, et eziandio per questa
libertà metta la vita, come misse Catone, se bisogno fusse. Et anco
intende lo stato iustificato dell’anima: imperò che Catone fu iustissimo sì, che c’insegna che, se l’anima vuole andare a la penitenzia,
ella si dè iustificare, poi che s’à liberato dall’impacci umiliandosi
contra la superbia de la vita, levandosi da la concupiscenza della
carne, da la cuncupiscenzia delli occhi; e cusì liberata et iustificata
può andare a purgare la negligenzia avuta, innanti che vegna all’atto de la penitenzia. Et àe indutto Catone, sì come esempio de la
libertà e della iustizia, più tosto che niuno altro per fare verisimile
la sua fizione: imperò che del Vecchio Testamento non potea inducere nessuno a guardia del purgatorio: imperò se n’andonno in
cielo con Cristo, quando spolliò lo limbo; nè del Nuovo era convenevile che introducesse li santi a stare in purgatorio: imperò che