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276 | p u r g a t o r i o xii. | [v. 16-27] |
che per superbia cadde dal Cielo co la sua sella, dicendo: Come perchè di lor memoria sia; ecco che prima induce la cagione finale che induca l’effetto per similitudine, dicendo che a fine di lassare memoria di sè et estendere la sua fama, si fanno le Sculture sovra lì avelli, Sovra’ sepolti; cioè coloro che sono quive sotterrati, le tombe terragne; cioè li avelli che sono piani in terra co le lapide di sopra, e fa menzione l’autore più tosto di questi che de’ sepolcri alti, perchè viene a suo proposito, Portan segnato quel ch’elli era pria; cioè lo sepolto co la soprascrizione co l’arme, co la figura corporale a mo’ di iudici 1 o di medico o di cavallieri, secondo ch’è stato ne la vita. Onde lì molte volle se ne piagne; da coloro che le ragguardano; et assegna la cagione, Per la puntura de la rimembranza; cioè per la ricordansa che dà dolore a chi li amava, Che solo; cioè la quale ricordansa, ai pii; cioè ai pietosi, dà de le calcagne; Cioè pugne li pietosi, come si pugne lo cavallo co li sproni che sono a le calcagna; e posta questa similitudine, l’adatta al suo proposito, dicendo: Sì vidd’io lì cioè così vidd’io Dante quive ne lo spasso scolpito, ma di millior sembianza; cioè di milliore figurazione, Secondo l’artificio; cioè segondo lo modo dell’arte de lo scolpire, figurato; cioè scolpito; e rendesi a quello vidd’io lì, Quanto per via fuor del monte avanza; cioè tutto lo spasso de la cornice, che avansava dal monte in fuora per andarvi suso. Vedea colui; io Dante, cioè Lucifero, che fu nobil Crealo Più ch’altra Creatura: imperò che più di grazia avea ricevuto da Dio che niuna creatura; e quinde, unde dovea più ricognoscere Iddio, diventato ingrato et invidioso, insuperbitte e volse esser pari al Filliuolo di Dio, dicendo: Dispono sedere ad partes Aquilonis, et esse similis Altissimo; unde fatto questo concetto, ruino dal cielo co la sua setta; e però dice: giù dal Cielo Fulgoreggiando; cioè a modo di folgore, scender da un lato; cioè da la parte d’aquilone, Cioè di settentrione, dove voleva ascendere e sedere, quinde ruinò e cadde e così era quive scolpito. E perchè questa-istoria è nota, nolla dichiaro altramente se non che l’autore finse questa prima scolpita quive, perche fu la prima superbia e la maggiore, e la più tosto punita e più gravemente che niuna, sicché bene se ne dè pilliare esemplo dalli omini di penitenzia che sono nel mondo; et anco da quelli che si purgano in purgatorio possiamo credere essere considerata tale superbia, avendone dispiacere 2 e scalcandola e dispregiandola; e però finge l’autore che sia ne lo spasso, per dare ad intendere che sia da loro scalcata e dispregiata.
C. XII — v. 28-33. In questi due ternari lo nostro autore finge che vedesse scolpita ne lo spasso la sconfitta dei Giganti, che secon-