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274 | p u r g a t o r i o xii. | [v. 1-15] |
finge che vedesse la storia d’Oloforne e di Giudit, quive: Mostrava com’ in rotta ec.; ne la tredicesima et ultima finge che vedesse scolpita la destruzione di Troia, quive: Vedea Troia ec. Divisa la lezione, ora è da vedere lo testo e l’allegorica esponizione, o vero morale.
C. XII v. 1-15. In questi cinque ternari lo nostro autore, incominciando lo canto xii, finge come andando chinato con Odorisi d’Agobbio, Virgilio l’ammonitte de l’andare in fin che venneno sopra le sculture ch’erano fatte ne lo spasso de la cornice prima, in castigamento et esemplo dei superbi, le quali finge l’autore essere intalliate quive, come quelle dell’umilità ne la parete, dicendo così: Di pari, coinè buoi che vanno al giogo; ecco che induce la similitudine dei buoi che sono legati ad uno giugo, che va l’uno pari all’altro, e così dice che andava elli con Odorisi; e però dice: N’andava io; cioè Dante, con quell’anima: cioè con Odorisi d’Agobbio, carca; cioè caricata col peso che portava per sodisfacimento de la sua superbia in sul capo, come fìnto àe di sopra. E questo significa allegoricamente che l’autore, quand’ebbe questo pensieri ebbe compassione a sì fatta pena, e parimente la portava con afflizione de la mente; o volliamo intendere che di pari andava con lui, in quanto era stato anco elli vanaglorioso in de l’opere suoe: imperò che si dice: Nulla tanta humilitas est, quœ dulcedine gloriœ non tangatur; e però finge che andasse pari con lui, per purgarsi de la sua vanagloria. Chi è colui che non sia contento che sia lodato lo bene che elli fa e non ne gonfi qualche pogo, come dice Boezio in secondo Philosophicœ Consolationis?— Tum ego, scis inquam, ipsa, minimum nobis ambitionem mortalium rerum fuisse dominatam. Sed materiam gerendis rebus optavimus, quo ne virtus tacita consenesceret. At illa: Atqui hoc unum est, quod prœstantes quidem natura mentes; sed nondum ad extremam manum virtutum perfectione perductas allicere possit gloriœ scilicet cupido, et optimorum in rempublicam fama meritorum. Ma che dè fare l’omo? Non dè costituire questa gloria per suo fine, benché Jiene giovi, e però di ciò si purgò tanto quanto parve a Virgilio; e però dice: Fin che ’l sofferse il dolce pedagogo; cioè in fin che ’l sofferse Virgilio; cioè la ragione che ammonisce la sensualità che non perda tempo sopra uno pensieri; et anco si può intendere che l’autore, come ditto è, la portava per sodisfacimento de la sua superbia, sicché quando l’ebbe portata tanto, quanto parve a la ragione sua che fusse purgato tal peccato coll’atto de la penitenzia, l’ammonitte d’andare a purgare li altri. Ma quando disse; cioè Virgilio a me Dante: Lassa lui; cioè Odorisi; cioè non stare più in sul suo pensieri, e varca; cioè a considerare più oltra, e procedere ne la materia e nell’atto de la penitenzia: Chè qui è buon; ecco che assegna la