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262 | p u r g a t o r i o xi. | [v. 103-117] |
colui; cioè di Cimabue, oscura; la fama di Gioito e falla parere nulla. Cosi à tolto l’uno; cioè messere Guido de’ Cavalcanti da Fiorensa, all’altro Guido; cioè da messere Guido Guinicelli da Bologna La gloria de la lingua; ecco che adduce l’altro esemplo, come la fama dura pogo ne la gloria del dire in rima: imperò che uno tempo durò la fama di messere Guido da Bologna, possa lie la tolse messere Guido da Fiorensa, e forsi è nato; ecco che l’autore induce che Odorisi profeti di lui, e per onesta la dà a Oderisi ch’elli ne sia il dicitore, et anco vi mette forsi per più onestà, Chi l’uno e l’altro; cioè quel da Bologna, e quel da Fiorensa, caccerà del nido; cioè de la gloria de la fama del dire in rima. Non è ’l mondan romor; cioè la mondana fama. Qui è da notare che romore e fama una medesima cosa significa, se non che fama si può intendere buona e ria la quale si chiama infamia; ma romore s’intende pure infamia; e però disse Virgilio: rumore accensus amaro. E che la fama si pillia per la ria anco lo dimostra Virgilio, quando dice: Fama, malum quo nona liud velocius ullum ec.; e per la ria si disfinisce, o vero descrive così: Fama est sine certo auctore inventio, cui malignitas dedit initium; fìdes vero incrementum. E per la buona si diffinisce come la gloria; e niente di meno li autori pognano alcuna volta l’uno vocabulo per l’altro, e così lo pone l’autore; cioè romore per fama, quasi dica: La fama mondana non è altro che un fiato Di vento; ecco che descrive che cosa è fama, per mostrare la sua viltà; e il Poeta greco, come recita Boezio, dice: O gloria, gloria in millibus mortalium nihil aliud facta, nisi aurium inflatio magna! — , ch’or vien quinci, et or vien quindi: imperò che la fama or viene da uno et or da uno altro, E muta nome, perchè muta lato; come lo vento è una medesima cosa; cioè movimento d’aire da qualunqua parte vegna, e niente di meno àe vari nomi secondo che da varie parti viene; così la fama è fiato de li omini che parlano, e muta nome: però che ora si parta d’uno et ora d’un altro; e così si dimostra la vanità de la fama.
C. XI — v. 103-117. In questi cinque ternari lo nostro autore finge che Odorisi seguiti lo suo parlare, avvilendo la fama per ragione e per esemplo, dicendo: Che voce; cioè che fama, avrai tu più; inansi che sia mille anni; quasi dica: Nulla, se vecchia scindi Da te la carne; cioè se tu mori vecchio, che se fussi morto Anzi che tu lassiassi il pappo e ’l dindi; cioè in infanzia quando non sapendo parlare ancora, vollendo dire pane dicevi pappo, e volendo dire denari dicevi dindi, Pria; cioè inansi, che passin mille anni? Quasi dica: Inansi che passino mille anni la tua fama serà spenta e serà nulla; benché tu sii invecchiato sì, come serebbe ancora se fussi morto fanciullo, che serebbe anco nulla, che; cioè lo quale spazio di mille