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   258 p u r g a t o r i o   xi. [v. 58-72]

mo Aldobrandesco fu mio padre; ecco che nomina lo padre, Non so se ’l nome suo giammai fu vosco; cioè fu vostro, cioè che voi l’abbiate udito ricordare. l’antiquo sangue: imperò che era di sangue gentile, e l’opere leggiadre; cioè l’opere famose, De’ mie’ maggior; cioè di miei antichi, mi fer sì arrogante; cioè sì soperbo 1, benché arroganzia è specie di superbia come appare ne la prima cantica Che non pensando a la comune madre; cioè a la terra, che è madre di tutti li animali quanto al corpo: imperò che tutti sono, quanto a la carne, di terra; et Orazio parlando delli omini, ne l’Ode dice: Pulvis et umbra sumus; e la Santa Scrittura dice: Recordare, frater, quod cinis es, et in cinerem reverteris; sì che tutti siamo pari, poi che una è la madre d’ogni uno, Ogni uno ebbi in dispetto; cioè in dispregio, tanto avante; cioè tanto soperchievilmente, Ch’io ne mori’; cioè per questo io fui morto. Questi fu Omberto filliuolo di messere Guillielmo Aldobrandeschi dei conti da Santa Fiore, che sono nel contado di Siena o vicini; e fu sì superbo che ogni uno dispregiò, e massimamente li Senesi, sì ch’elli fenno ucciderlo per li dispiaceri fatti loro; e però dice: e i miei Senesi il sanno; che me feceno uccidere, E sallo in Campagnatico: Campagnatico è una contrada del contado di Siena, dove Omberto fu ucciso; e però dice: E sallo in Campagnatico ogni fante: in quella contrada solliono essere molti valenti omini d’arme, li quali si chiamano fanti, li quali o perchè funno ad ucciderlo, o forsi perch’erano con lui a fare dispiacere ad altrui, et era loro noto, e però dice che in Campagnatico lo sa ogni fante. Io son Omberto; ecco che si nomina, e non pur a me danno Superbia fe; cioè non à fatto pur male a me la superbia, ma tutti miei consorti; cioè tutti li altri conti, A ella; cioè la superbia, tratti seco nel malanno; cioè tirato con seco in pena et angoscia che vastrà 2 a tempo, e però dice nel malanno; e sì in questa vita che li à fatti periculare e morire innanti ora, e sì nell’altra che li a posti in pena. E qui 3; cioè in questo luogo, convien ch’io; Omberto, questo peso; cioè carico, porti Per lei; cioè per la superbia, tanto che a Dio si sodisfaccia; avendo portato la pena dovuta, Poi ch’io nol fei tra’ vivi; cioè poi ch’io non satisfeci al peccato essendo vivo, conviene ch’io satisfaccia, qui tra’ morti; cioè in purgatorio con li altri passati di questa vita, che qui sono. E qui finisce la prima lezione del canto undecimo.
     Ascoltando io chinai ec. Qui incomincia la seconda lezione del canto xi, ne la quale finge l’autore ch’elli ricognoscesse in quel luogo alquanti che ebbeno superbia di loro maesterio, et artifìcio; e divi-

  1. Soperbo; superbo, pel solito mutamento delle due vocali o ed u. Folgore da San Gemignano in un sonetto dettò «Chè tu sai che soperbia m’è nimica». E.— C. M. superbo,
  2. C. M. vasterà
  3. Da E qui - a - qui sono - ci siamo valsi del Codice Magliab. E.