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[v. 139-145] | c o m m e n t o | 217 |
nell’erario, se non per lo suo petto. A cui Cesari rispuose: Metello, tu ài vana speransa che credi morire per le mie mani; ma non si brutterà certamente la mia mano nel tuo sangue; e ragguardò li cavalieri suoi, acciocché ne levasseno per forsa. Allora uno cavalieri ch’avea nome Cotta prese Metello per mano, e dicendoli certe belle parole lo tirò a sè e levollo dal proposito. Allora Cesari fece rumpere li verchioni et aperse la porta dell’erario; et era sì ordinata quella porta con tanta gravità di metallo, che quando s’apria ruggivano sì forte li cardini e li subbielli che tutta Roma l’udia, acciò che non si potesse aprire occultamente. E però fa di questa similitudine l’autore, dicendo che, benché la porta dell’erario che è nel monte Tarpeio ruggisse fortemente e fusse agra ad aprire, non ruggì sì, nè fu sì malagevile ad aprire, quando Cesare l’aperse per spolliare l’erario e distribuire Io tesoro ai suoi cavallieri poiché Metello ne fu levato via, come ruggì e fu malagevile ad aprire la porta del purgatorio, e nel testo de l’autore non è l’adattazione de la similitudine; ma deesi intendere: imperò che cusì 1 è usansa di parlare alcuna volta alli autori; e questa malagevilessa dimostra l’autore, per mostrare che malagevile è tolliere l’omo dall’amore da le 2 cose del mondo e darlo a Dio, che significa per l’aprire de la porta, perchè; cioè per la quale levatura di Metello, poi rimase magra; cioè, poi che ne fu tolto Metello, rimase voito 3 l’erario e spolliato del tesoro da Cesare.
C. IX — v. 139-145. In questi due ternari et uno versetto, l’autore nostro finge come, entrato dentro de la porta del purgatorio, uditte cantare e sonare, dicendo così: Io; cioè Dante, mi rivolsi; a man destra, s’intende, poi ch’io fui dentro da la porta; e non si dè intendere ch’elli si volgesse a drieto: imperò che arebbe fatto contra l’ammonimento datoli da l’angiulo, e sarebbe tornato di fuora; e puossi anco intendere ch’elli fusse di fuora, e che udendo cantare si volgesse inverso la porta, dove prima era volto verso altra parte: imperò che non appare che fusse anco entrato, attento al primo tuono; cioè al primo suono ch’io uditti da mano destra: imperò che come ne l’inferno finse che sempre scendea in verso mano sinistra girando; così finge che nel purgatorio sempre monti, girando inverso mano destra: imperò che la mano manca significa la via dei vizi, e la mano ritta significa la via de le virtù, E Te Deum Laudamus; questo è uno canto che compuose santo Ambrogio e santo Agostino,
- ↑ Cusì, Ne’ primi secoli del nostro idioma veniva sovente scambiato l’o con l’u; onde trovasi non di rado cusì, puppa, vocabulo per così, poppa, vocabolo. E.
- ↑ C. M. delle cose
- ↑ Voito; oggi meglio vuoto o voto. Dura tuttavia nel volgo toscano il vezzo di frapporre l’i in talune parole, come brieve, Europia, superbio. E.