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c a n t o    ix. 195

112Sette P ne la fronte mi descrisse
     Col punton de la spada; e: Fa che lavi,
     Quando se’ dentro, queste piaghe, disse.
115Cener, o terra che secca si cavi,
     D’un color fora col suo vestimento;
     E di sotto da quel trasse du’ chiavi.
118L’una era d’oro, e l’altra era d’argento:
     Pria co la bianca, e poscia colla gialla
     Fece a la porta, sì ch’io fui contento.
121Quandunqua l’una d’este chiavi falla,
     Che non si volga dritto per la toppa,1
     Diss’el a noi, non s’apre questa calla.
124Più cara è l’una; ma l’altra vuol troppa
     D’arte e d’ingegno, inanzi che disserri,2
     Perch’ella è quella che il nodo disgroppa.
127Da Pier le tegno; e dissemi ch’io erri
     Anzi ad aprir che a tenerla serrata,
     Pur che la gente ai piedi mi s’atterri.
130Poi pinse l’uscio alla parte sacrata,
     Dicendo: Entrate; ma facciovi accorti,
     Che di fuor torna chi in dietro si guata.
133E quando fur ne’ cardini distorti3
     Li spigoli di quella regge sagra,4
     Che di metallo son sonanti e forti,
136Non ruggì sì, nè si mostrò sì agra5
     Tarpea, quando tolto li fu ’l buono
     Metello, perchè poi rimase magra.6
139Io mi rivolsi attento al primo tuono,
     E Te Deum laudamus mi parea
     Udir in voce mista al dolce suono.

  1. v. 122. C. A. diritta
  2. v. 125. C. A. avanti
  3. v. 133. C. M. discorti
  4. v. 134. Regge; reggia, come lebbre e lebbra, semente e sementa. E.
  5. v. 136. C. A. Nè rugghiò si,
  6. v. 138. donde poi