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   186 p u r g a t o r i o   viii. [v. 109-120]

siderare l’altessa di questa materia di questa comedia; e però dice: che ti mena in alto; cioè in altessa infine ai cieli, e sopra i cieli infine a Dio, Trovi nel tuo arbitrio; cioè ne la tua volontà, nel tuo iudicio, tanta cera; cioè tanto ingegno, Quanta è mistiero; cioè quanto bisogna, infine al sommo smalto; cioè in fine al summo 1 cielo lo quale chiama smalto per similitudine eccessiva: imperò che riluce più che ogni smalto: lo smalto di che si smalta l’ariento si fa di vetro et è molto relucente. Ecco che marchese Currado Malaspina sconiura Dante per quello che crede che li sia più a grado; e finge la grazia di Dio essere come suggello, e lo ingegno umano come cera; e così la grazia illuminante informa lo intelletto umano, come lo suggello la cera. Cominciò elli; cioè marchese Currado: se novella vera Di Valdimagra; questa è la contrada vicina a uno fiume che è termine di Toscana di verso ponente, che si chiama Magra, o di parte vicina; cioè de la Lunigiana che è vicina a Valdimagra: questa Lunigiana è detta da Luni, antica città; ora è disfatta e posta a la marina incontra a Sarzana, e questa èquella contrada che appo li autori si chiama Umbria, Sai; tu, Dante, dillo a me; marchese Currado, che già grande là era; questo dice: imperò che fu dei marchesi Malaspina. Chiamato fui Currado Malaspina; ecco che si nomina, Non son l’antico; per questo mostra che ve ne fusse uno antico, nominato così; ma di lui discesi; cioè da l’antico Currado. Ai miei; cioè consorti e sudditi, portai l’amor che qui raffina; cioè la carità la quale in purgatorio è maggiore che non è nel mondo 2: imperò che nell’anima, separato 3 dal corpo è più perfettamente l’amore di Dio e del prossimo, che coniunta, se non quando fi’ coniunta col corpo glorificato; col quale coniunta, l’arae 4 più perfettamente che separata. Et è da notare che la carità mai non viene meno ai beati; ma sì la fede: imperò che sono certificati di quello ch’ànno creduto, et anco la speransa viene meno: imperò che ottegnano quello che ànno desiderato; e però finge l’autore che Currado dica le suprascritte parole, per mostrare la detta verità.

C. VIII — v. 121-132. In questi quattro ternari finge l’autore come elli rispuose al marchese Currado, lodando la sua gente; e come lo marchese afferma quello che Dante àe ditto; e come Dante aggiunge al detto suo con iuramento una grande loda, dicendo così: Oh! dissi lui; cioè io Dante dissi al marchese Currado, per li vostri paesi Giammai non fui; cioè io Dante; e questo è vero che,

  1. C. M. al supremo cielo,
  2. C. M. nel mondo: però che l’anima separata dal corpo à più perfettamente
  3. C. M. però che, l’anima separata dal
  4. Arae; avrà, terminazione comune alle antiche Scritture e al domestico ragionare. Questo e viene aggiunto per cagione di uniformità, essendosi detto àe, avie ec. E.