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182 | p u r g a t o r i o viii. | [v. 85-96] |
suno luogo per cagione di guerra, Come avria fatto il gallo di Gallura; cioè l’insegna del giudicato di Gallura che è uno gallo.
E questo dice, perchè usansa è che ai sepulcri de le signore si
pogna l’arme del marito o dipinta o scolpita; e questo finge l’autore, per mostrare che era più onorevile lo giudicato di Gallura
che la signoria di Melano, perchè lo giudicato è signoria ragionevile costituta da lo imperadore e dal papa; e la signoria di Melano era allora violenta, sensa iusto titolo. Così dicea; Giudici Nino,
segnato de la stampa; cioè de la forma: la stampa è una forma
di ferro che, percossa in sul conio 1, lassa la sua forma in esso; e
qui intende l’autore per la forma, Nel suo aspetto; cioè ne la sua
apparenzia, di quel dritto zelo; cioè del diritto amore; cioè questo
dicea per diritta carità ch’avea in verso la ditta Beatrice sua donna, non già per invidia: imperò che nel purgatorio non può essere
se non virtù; come ne lo inferno non può essere se non vizio; e
però questo fìnge l’autore, Che smisuratamente il core avvampa;
cioè che sensa misura incende lo cuore umano: la stampa di questo
amore è lo Spirito Santo, che cagiona ogni diritto zelo ne le nostre
menti. Finita la prima lezione del canto ottavo, seguita la secunda.
Li occhi miei ghiotti ec. In questa seconda lezione del canto ottavo lo nostro autore finge l’avvenimento del serpente, e lo combattimento de li angiuli con lui, e lo parlamento che ebbe con messere
Currado Malaspina marchese. E dividesi questa lezione in 5 parti,
perchè prima finge come Virgilio lo dichiarò de la costellazione che
vedea in cielo, e come Sordello mostra a Virgilio lo serpente; ne la
seconda parte finge come vidde l’avvenimento del serpente, e lo
combattimento de li angioli con lui, quine: Da quella parte ec.; nella
terza parte finge che lo marchese Currado lo dimandi di novelle di
Lunigiana, quive: L’ombra che s’era ec.; ne la quarta finge l’avvicendevile parlamento ch’ebbe con lui, e la risposta ch’elli fece al
marchese in onore de la casa sua, quive: Oh! dissi lui, ec.; ne la
quinta finge che ’l marchese li predicesse l’onore, che Dante dovea
ricevere da’ suoi, quive: Et elli: Or va, ec. Divisa la lezione, ora è
da vedere la lettera co l’esponizione 2 litterali, allegoriche e morali.
C. VIII — v. 85-96. In questi quattro ternari lo nostro autore finge come, guardando in cielo, vidde tre stelle sallite u’ erano state vedute da lui la mattina le quattro; e come Virgilio lo dichiara di quelle; e come Sordello mostra a Virgilio lo serpente, dicendo: Li occhi miei; cioè di me Dante, ghiotti; cioè desiderosi di vedere lo cielo, andavan pur al Cielo; cioè a ragguardarlo, Pur là dove le stelle son più tarde; cioè al polo antartico, Sì come rota più presso a lo