76Per lei assai di lieve si comprende
Quanto in femina foco d’amor dura.
Se l’occhio e il tatto spesso noll’accende.12
79No li farà sì bella sepultura2
La vipera che il Melanese accampa,
Come avria fatto il gallo di Gallura.
82Così dicea segnato de la stampa
Nel suo aspetto di quel dritto zelo,
Che smisuratamente il core avvampa.
85Li occhi miei ghiotti andavan pur al Cielo,
Pur là dove le stelle son più tarde,
Sì come rota più presso a lo stelo.
88E il Duca mio: Filliuol, che lassù guarde?
Et io a lui: A quelle tre facelle,
Di che il popul di qua tutto quanto arde.3
91Ond’elli a me: Le quattro chiare stelle,
Che vedemmo staman, son di là basse,4
E queste son sallite ov’eran quelle.
94Com’ei parlava, Sordello a sè ’l trasse,
Dicendo: Vedi là ’l nostro avversaro,
E drizzò il dito, perchè in la guatasse.
97Da quella parte, onde non à riparo
La picciola valletta, era una biscia,5
Forse qual diede ad Eva il cibo amaro.
100Tra l’erba e i fior venia la mala striscia,
Volgendo ad or ad or la testa al dosso,6
Leccando come bestia che si liscia.
- ↑ v. 78. C. A. o il tatto spesso noi raccende.
- ↑ 2,0 2,1 vv. 78-79. C. M. non l’accende. - Non li farà
- ↑ v. 90. C. A. Di che il polo di
- ↑ v. 92. C. A. Che vedevi
- ↑ v. 98. C. A. vallea,
- ↑ v. 101. C. A. la testa e il dosso,