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[v. 16-27] | c o m m e n t o | 153 |
cosce; e li pari amici s’abbracciano a le spalle. Potrebbesi dare una altra esponizione al testo, non mutando la sentenzia; cioè ove il minor; cioè lo fanciullo s’appillia, quando è nel ventre de la madre; cioè al bellico, unde l’omo quando è infante nel ventre de la madre, riceve lo nutrimento, e per quello sta coniunto co la matrice. O volliamo intendere ove lo minore; cioè lo fanciullo s’afferra, quando vuole abbracciare l’omo, che non aggiungendo più su, l’abbraccia a le cosce.
C. VII — v. 16-27. In questi quattro ternari lo nostro autore finge come Sordello dimanda Virgilio, se viene de lo inferno e di quale luogo; e come Virgilio a la dimanda risponde, dicendo così: O gloria de’ Latin, disse; cioè Sordello a Virgilio, chiamandolo gloria dei Latini: imperò che lo nome di Virgilio è gloria di tutti quelli che sono de la lingua latina, come Omero di tutti i Greci, per cui; cioè per lo quale Virgilio, Mostrò ciò che potea; mostrare, la lingua nostra; cioè latina d’eloquenzia e di poesi, O pregio eterno: imperò che in lungo tempo serà lodata et appregiata Mantova per lo nome di Virgilio, del loco und’io; cioè Sordello, fui: imperò che Sordello fu mantovano, come detto fu di sopra: imperò che speciale onore è di Mantova sì fatto nome come àe Virgilio, che appresso tutti li savi si dice Summus poetarum Virgilius —, Qual merito, o qual grazia mi ti mostra? Quasi dica Sordello: Io non abbo meritato di vederti: chi m’à conceduto tanta grazia e tanto meritato àe per me ch’io ti vegga? Quasi meravilliandosi di ciò, S’io son d’udir le tuoe parole degno; dice Sordello a Virgilio, secondo che finge l’autore per onore di Virgilio, Dimmi; tu, Virgilio, se vien d’Inferno, e di qual chiostra; cioè di qual chiusura: chè chiostra tanto vale quanto chiusura; e di qual luogo de lo inferno; unde l’autore aggiunge la risposta di Virgilio, dicendo: Per tutti i cerchi del dolente regno; cioè de lo inferno, dove stanno coloro che ànno pena e dolore, Rispuose lui; cioè Virgilio a Sordello, son io; Virgilio, di qua; cioè nel purgatorio, venuto; come tu vedi: Virtù del Ciel mi mosse; e qui conferma l’autore finalmente1 la finzione fatta da lui ne la prima cantica, e sposta per me quive, e con lei vegno; cioè co la grazia di Dio venia la ragione di Dante, significata per Virgilio. Non per far; alcuno peccato, s’intende, abbo perduto di vedere Iddio, ma per non far; cioè l’opre meritorie de le virtù teologiche, ò perduto; io Virgilio, Di veder l’alto Sol; cioè Iddio, che è il Sole dei Soli, che tu; cioè Sordello, disiri; cioè desideri, E che fu tardi da me cognosciuto; dice tardi, perchè nol cognove, se non poi che l’anima fu separata dal corpo. E dèsi intendere che l’autore alcuna volta prende Virgilio
- ↑ C. M. l’autore similmente la fizione