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C A N T O     VII.

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1Poscia che l’accollienze oneste e liete
     For iterate tre e quattro volte,1
     Sordel si trasse, e disse: Voi chi siete?
4Anzi che a questo monte fosser volte
     L'anime degne di salire a Dio,
     For l’ossa mie per Ottavian sepolte.
7lo son Virgilio; e per null’altro rio2
     Lo Ciel perdei, che per non aver fè:
     Così rispuose allora il Duca mio.
10Qual è colui che cosa inanzi a sè
     Subita vede, ond’ ei si meravillia,
     Che crede e no, dicendo: Ell’ è, non è;
13Tal parve quelli, e poi chinò le cillia,
     Et umilmente ritornò ver lui,
     Et abbracciollo ove il minor s’appillia.3
16O gloria de' Latin, disse, per cui
     Mostrò ciò che potea la lingua nostra,
     O pregio eterno del loco und‘ io fui,

  1. v. 2. For; foro, forono, terze plurali del perfetto, risultanti dalla terza persona singolare fo, unitovi ro o rono. E.
  2. v. 7. Rio; reità, come al canto iv, v. 46 dell’Inferno, e presso Fra Guittone « Quanto maggiore è rio, maggio si mostra ». E.
  3. v. 15. C. A. ove il nudrir