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138 | p u r g a t o r i o vi. | [v. 106-117] |
Usterich eletto imperadore, e presa la corona si ritornò ne la Magna a casa sua e quive si stette et avea padre, e consentitteno che Italia si guastasse co le suoe divisioni, innanti che volesseno lassare lo loro ducato, Per cupidezza di costà distretti; cioè per avarizia, per non spendere, Che il giardin dello imperio; cioè Italia la quale chiama giardino de lo imperio, perchè è la più bella parte che abbia lo imperio, sia diserto; cioè disfatto, per li riei suoi abitatori.
C. VI — v. 106-117. In questi quattro ternari lo nostro autore sequendo la sua invettiva contra Alberto suddetto, particularmente tocca li mali d’Italia, dicendo: Viene a veder Montecchi e Cappelletti; queste funno due parti così nominate le quali funno in Lombardia in Cremona, che tanto si inimiconno insieme che si redusseno a disfacimento, Monaldi e Filippeschi; queste funno due parti così nominate in de la Marca; cioè in Ancona, le quali al tempo de l’autore viveano in grande sospetto, uom senza cura; dice l’autore ad Alberto, riprendendolo che sia sensa cura de lo imperio. Color già tristi; cioè le parti di Cremona; Montecchi e Capelletti, che si sono destrutti insieme per le loro parzialità, e questi; cioè Monaldi e Filippeschi d’Ancona, coi sospetti; d’esser offesi li uni dalli altri. Vien, crudel, vieni; ecco che lo sollicita a venire in Italia, chiamandolo crudele, perchè tanto indugia, e vedi la pressura; cioè lo gravamento, Dei tuoi gentili; cioè de’ conti, marchesi1 et altri gentili omini e signori d’Italia, che gravano li loro sudditi oltra modo, e cura lor magagne; cioè di quelli gentili, correggendoli e punendoli, E vedrai Santafior com’è sicura; questo è uno castello in Maremma tra lo terreno di Pisa e di Siena, dove sono conti li quali infine al tempo dell’autore male trattavano li loro sudditi e vicini: e puossi intendere in du’ modi; cioè, come è sicura; quasi dica: Non è sicura, che vi sono li omini rubati; e poi intendere come si cura; cioè si governa lo detto castello dai ditti conti. Viene a veder; cioè tu, Alberto, la tua Roma; e ben dice tua; imperò che lo imperadore è re de’ Romani, che piagne; cioè sè duole e lamenta, perchè sono li popolari romani oppressi dai gentili omini. Vedova; perchè è sensa lo suo sposo; cioè lo imperadore, e sola; perchè non v’è niuno suo vicario che mantegna ragione e giustizia, e di’ e notte chiama; cioè grida; Cesare mio; cioè imperadore mio: tutti imperadori sono chiamati Cesari dal primo imperadore che ebbe nome Cesari, perchè non m’accompagne; cioè perchè non stai tu meco? Finge l’autore che
- ↑ Il conte o marchese oggi non riesce che ad un nome vano; ma in antico, il primo appellato eziandio Gastaldo, presedeva alla milizia e ministrava la giustizia al popolo, e dall’imperadore veniva eletto governatore d’una città. Il marchese era deputato al governo di una intera provincia, o marca. E.