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ne l’omo, che quive dove lo intelletto intende, move l’anima lo corpo; così le cose de la natura sono mosse dalli angeli e dai dimoni, secondo che lo loro intelletto intende tanto, quanto è loro permesso da Dio; e però dice l’autore che ’l dimonio co lo intelletto trasse di quelli vapori li più sottili a la tersa regione de l’aire, sicchè si convertetteno in fumo et in vento, sicchè fece nebbia e vento, Per la virtù, che sua natura i 1 diede; cioè a l’angelo; de la quale virtù naturale anco tene lo dimonio tanto, quanto ebbe l’ angiulo, se non quelli che perdette, perdendo la grazia di Dio; cioè lo poter bene operare. Inde; cioè di quinde e per quello modo, la valle; cioè quella del Casentino, come il di’ fu spento; cioè come fu fatto sera, Da Pratomagno; questo è monte altissimo chiamato così; dal quale luogo infine a l’alpe coperse de nebbia; cioè infine a Falterona che li è incontra; cioè a Pratomagno; e però dice: e il gran giugo coperse Di nebbie: giugo è lo colle del monte, e il giel di sopra fece intento; cioè caccionne lo dimonio lo gielo che era sopra li vapori, a ciò che più fortemente ripellesse li vapori umidi e risolvesseli in acqua; e però dice: Si, che il pregno aire; de’ vapori umidi preditti, in acqua si converse; risolvendosi li predetti vapori ne la sua materia. La pioggia; dei ditti vapori, cadde; dell’aire giù in terra, et ai fossati venne Di lei ciò che la terra non sofferse; cioè tutto quello, che la terra non succhiò, venne nei fossati per scolare nei fiumi. E come ai rivi grandi si convenne; cioè come l’acqua dei fossati e de li scolatoi de le montagne si raunò ne li rivi de la valle, Ver lo fiume real; cioè verso l’Arno: chiamano li Poeti fiumi reali quelli che fanno capo in mare, come fa l’Arno; l’altri no. L’Arno esce d’uno monte di Casentino che si chiama Falterona e corre per lo Casentino, et in esso intrano poi molti altri fiumi li quali li autori chiamano fiumi populari; e di quel medesmo monte, de l’altro lato esce lo Tevero che va a Roma: entrano li rivi del Casentino in Arno, et uno fiume populare che è presso a Bibbiena, che si chiama l’Archiano lo quale entra in Arno e per quello fiume anco molte acque del Casentino entrano in Arno, tanto veloce Si ruinò; cioè la pioggia, che nulla la ritenne. Lo corpo mio; dice Bonconte a Dante, gelato; perch’era morto, in su la foce; cioè sua, Trovò l’Archian rubesto; cioè quel fiume, diventato per la pioggia corrente e fortunoso, e quel; cioè lo corpo, sospinse nell’Arno; nel quale entra lo detto fiume, e sciolse al mio petto la croce; cioè de le braccia e de le mani che io Bonconte avea fatto al mio petto, e però dice: Ch’io fei di me; cioè de le mie braccia e mani, quando il dolor; cioè de la ferita che era a morte, mi vinse: et accordasi questa sentenzia con
- ↑ I; a lui, accorciato dall’ illi de’ Latini. E.