Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
110 | p u r g a t o r i o v. | [v. 64-84] |
come Dante lo dimanda d’alcuna circumstanzia, et incomincia quive: Poi disse un altro ec.; ne la tersa, come elli risponde a la dimanda di Dante, quive: Oh, rispuose elli ec.; ne la quarta finge l’autore come quello spirito, narrando sua condizione, manifesta la mutazione naturale del tempo inturbolento farsi alcuna volta per virtù diabolica, quive: Ben sai come ec.; ne la quinta finge come lo terso spirito, che fu una femina, anco si li manifestò, et incomincia quive: Deh quando ec. Divisa adunqua la lezione, ora è da vedere lo testo coll’allegorie et esponizioni litterali e morali.
C. V— v. 64-84. In questi sette ternari lo nostro autore finge come venne in notizia d’alcuno di quelli spiriti, lo quale prima si li manifestò, dicendo così: Et uno; cioè di quelli spiriti, incominciò; cioè a parlare e rispondere a le parole dette da me: Ciascun; cioè di noi spiriti, si fida Del beneficio tuo; cioè del servigio tuo che tu ài promesso, senza giurarlo; cioè sensa farne giuramento, come tu ài fatto di sopra. E debbiamo notare che beneficio et officio sono differenti: imperò che beneficio è quello bene che l’omo fa in verso lo prossimo.1; officio è quello bene verso sè, in verso ’l prossimo et in verso ogni persona; ma strettamente lo pillia Tullio in libro de li Offici, secondo questa diffinizione: Officium est congruus actus uniuscuiusque, secundum mores et statuta suae civitatis— , Pur che il voler non posse non ricida; quasi dica: Noi sappiamo che tu ài buono volere, dubitiamo che ’l non potere lo ’mpacci, e però si dè dire: Purchè il non posse; cioè lo non potere, non ricida, cioè non rompa lo volere: potrebbe anco dire lo testo: Pur che il voler la possa non ricida; cioè pur che il podere, mancando, s’intende, non rompa lo volere; quasi dica: Noi sappiamo che ’l volere è buono, purchè ’l podere, mancando nollo impacci. Und’io; dice quello spirito di sè medesimo, che solo, inanzi alli altri parlo; questo dice, perchè elli solo parlava, secondo la finzione de l’autore, e li altri stavano ad udire, Ti prego, se mai vedi quel paese; cioè prego te Dante, se mai vedi quel paese, Che; cioè lo quale, siede tra Romagna e quel di Carlo; cioè del re Carlo sensa terra; cioè la Pullia che fu sotto lo re Carlo di Francia, conte di Provensa e poi re di Sicilia e di Pullia, come fu detto di sopra: sì che intende tra la Pullia e la Romagna 2, Che tu; cioè Dante, mi sii de’ tuoi preghi cortese In Fano; questo Fano è una città de la Marca d’Ancona unde era messer Iacopo del Cassaro, lo quale qui l’autore introduce a parlare, lo quale fu morto per assassini tra Doriaco e Venezia in sul destretto padovano ne la valle, e