22Intanto per la costa da traverso
Venien gente dinanzi a noi un poco,1
Cantando Miserere a verso a verso.
25Quando s’accorser, ch’io non dava loco,
Per lo mio corpo, al trapassar de’raggi,
Mutar lor canto in uno O lungo e roco;
28E du’ di lor in forma di messaggi
Corsero incontra noi, e dimandarne:
Di vostra condizion fatene saggi.
31E il mio Maestro: Voi potete andarne,
E ridir a color che vi mandaro,2
Che il corpo di costui è vera carne.
34Se per veder la sua ombra restaro,
Com’io avviso, assai è lor risposto:
Faccianli onore, et esser può lor caro.3
37Vapori accesi non vidd’io si tosto
Di prima notte mai fender sereno,
Nè, sol calando, nuvule d’agosto,
41Che color non tornasser suso in meno;
E giunti là, colli altri a noi dien volta,45
Come schiera che scorre senza freno.
43Questa gente, che preme a noi, è molta,
E vegnonti a pregar, disse il Poeta;
Però pur va, et in andando ascolta.6
- ↑ v. 23. C. A. Venivan gente innanzi
- ↑ v. 32. C. A. E ritrarre a
- ↑ v. 36. Faccianli onore. In antico terminavasi in no la prima persona plurale ad imitazione de’ Trovatori, e tale desinenza oggi torna acconcia, quando al verbo s’incorpora l’ affisso o il pronome. E.
- ↑ v. 41. dien. Dall’infinito dere nacquero dò, deno o denno, derono, o dero, alle quali s’interpose l’ i per una tale comodità di pronunzia. E.
- ↑ v. 44. C. A. con gli altri dieder volta,
- ↑ v. 45. in andando. Il gerundio unito alla particella in è una pretta imitazione de’ Latini. E.