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C A N T O V.
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1Io era già da quelle ombre partito,
E seguitava l’orme del mio Duca,
Quando dirieto a me, drizzando il dito,
4Una gridò: Ve’, che non par che luca1
Lo raggio da sinistra a quel di sotto,
E come vivo par che si conduca.
7Li occhi rivolsi al suon di questo motto,2
E viddili guardar per meravillia
Pur me, pur me, e lume ch’era rotto.3
10Perchè l’animo tuo tanto s’impillia,
Disse il Maestro, che l’andar allenti?
Che ti fa ciò che quivi si pispillia?
13Vien dietro a me, e lassa dir le genti:
Sta come torre ferma, che non crolla
Giammai la cima per soffiar de’ venti:
16Chè sempre l’omo, in cui pensier rampolla
Sovra pensier, da sè dilunga il segno,
Perchè la foga l’un dell’altro insolla.
19Che poteva io dir, se non: Io vegno?4
Dissilo, alquanto del color cosperso,5
Che fa l’om di perdon tal volta degno.