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[v. 58-69] | c o m m e n t o | 87 |
nel monasterio, e così si ruppe quanto a questa ultima parte: ruppeno ancora in parte lo voto de l’obedienzia in tanto, che non furono obedienti alle badesse dei loro monasteri; ma tennenlo in tanto che furno obedienti ai loro mariti: promisseno castità, ruppeno la castità verginale; ma tenneno la castità matrimoniale, e così furno manchi e voiti li loro voti in alcuna parte. Puossi anco intendere che l’autore intendesse che li voti loro fusseno manchi nell’opere di fuora; ma non nella voluntà loro d’entro, la quale sempre stette ferma di volere osservare lo voto, e non furno mai contente che fusse rotto; ma stavano mal contente per non avere peggio, o per non potere fare altro. E perchè mancorno de la virtù, mancorno del merito, e così del premio; ma perchè osservorno bene lo sacramento del matrimonio, furno salve per merito di quello coll’altre virtù che ebbono: che lo sacramento del matrimonio non è meritorio tanto che vasti a vita eterna: imperò ch’elli vale a fuggire lo peccato; ma ad acrescimento di merito: fuggesene lo peccato de la fornicazione, e colle virtù che si possono operare stando in quello stato s’acquista merito; unde segue poi lo premio. Puòsi anco intendere, come è stato detto di sopra, che in altro modo si può intendere lo mancamento del voto che di quelli della religione, dei quali pare sonare lo testo. E questo è quello che l’autore vuole dimostrare in questa parte.
C. III— v. 58-69. In questi quattro ternari Io nostro autore finge com’elli rispuose a Pictarda, e com’elli la dimandò d’alcuno dubbio, al quale apparecchiandosi di rispondere, mostrò grande allegrezza; e nell’altra lezione, che seguita, risponderà al dubbio. Dice dunqua così prima: Ond’io; cioè per la qual cosa io Dante, a lei; cioè a Piccarda rispuosi, s’intende: Ne’ mirabili aspetti Vostri; cioè ne’ meravigliosi ragguardamenti vostri o nelle vostre meravigliose apparenzie, risplende non so che divino; cioè non so che cosa di divinità: imperò che in voi alcuna cosa di divinità riluce, Che; cioè la qual cosa divina, vi trasmuta dai primi concetti; cioè da li primi segni che l’omo s’à impresso nella fantasia, per arricordarsi de la prima, li quali si chiamano concetti: imperò che la fantasia dentro a sè insieme li pillia. Però non fui; cioè io Dante, festino; cioè avaccevile 1, a rimembrar; cioè a ricordarmi di te, Ma or m’ aiuta; cioè me Dante a raffigurarti, ciò che tu mi dici; cioè tu, Piccarda, a me Dante: imperò che mi dici lo nome tuo e la condizione tua, e la dichiaragione che m’ài fatto dell’essere più bella per la cagione della letizia, Sì che raffigurar; cioè te, m’è più latino; cioè è più agevile a me. Et ora muove Io dubbio: Ma dimmi: cioè tu, Piccarda, a me d i s o 111. [
- ↑ C. M. avaccievole o tostano, a rimembrar ;