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[v. 115-132] | c o m m e n t o | 869 |
mativa o vero ammirativa, come è corto lo dire di questa Trinità, anco cortissimo che non si può tanto, quanto ella è, e come è fioco; cioè e come è non intelligibile, Al mio concetto; cioè appresso quello, che io òne nel mio concetto! Imperò che, come dice santo Augustino: Deus verius cogitatur, quam dicatur; et verius est quam cogitetur. Ideo non est pars parvae notitiae, si unquam possimus scire quod sit Deus, possimus scire quid non sit. — , e questo; cioè lo dire mio d’Iddio, secondo lo mio concetto. O volliamo dire: e questo; cioè lo mio concetto, che io òne d’Iddio, È tanto; cioè è sì grande, a quel, ch’io vidi; per rispetto di quello, che io viddi: imperò che lo concetto fu maggiore chce la vista e la vista anco fu maggiore che possa essere lo mio dire, che non basta a dicer poco: imperò che se ne vorrebbe dire assai e non si può. E però esclama l’autore a Dio, dicendo: O somma luce: imperò ch’elli è luce sopra ogni luce, che sola in te sidi 1; cioè la quale sola stai in te medesimo, Sola te ’n tendi; cioè tu sola luce intendi te medesimo tutto, e da te; cioè da te medesima luce, intelletta; cioè intesa tutta, Et intendente te; cioè te medesima tutta, a me arridi; cioè a me Dante fai festa e grazia, dandomi ad intendere alcuna particella di te, Questa circulazion; de’ detti tre giri, che sì concetta; cioè per sì fatto modo conceputa, Pareva in te; cioè in te luce, alquanto circuspetta; cioè un pocolino veduta intorno, Dalli occhi miei; cioè da la ragione e da lo intelletto di me Dante, come lume reflesso; cioè come lume ripiegato in tre giri, come detto è, Dentro da sè; cioè dentro da la sua essenzia, del suo fulgore stesso; cioè del suo medesimo splendore, Parea pinta; cioè figurata, de la nostra effige; cioè della nostra figura, Per che ’l mio viso; cioè per la qual cosa, cioè per la qual dipintura e figurazione de la nostra umanità lo mio vedere, in lei; cioè ne la detta nostra figurazione, tutt’era messo; cioè tutto lo mio sguardo era messo a guardare l’umanità di Cristo. Così fa la mente devota, quando contemplando la Divinità, non vi può intrare, ella si mette a contemplare l’umanità del nostro Salvatore che è in essa. Seguita.
C. XXXIII — v. 133-145. In questi quattro ternari et uno versetto lo nostro autore finge com’elli volse vedere come l’umanità si coniunse co la Divinità; ma lo suo intendimento non fu di tanto; ma ben dice che li sopravenne grazia, co la quale ebbe suo desiderio; ma elli si scusa che la fantasia sua nol potè ritenere, sicchè ’l potesse dire, o scrivere, e così conchiude che finisce lo suo poema, dicendo così: Qual è ’l geometra; ecco che fa una similitudine per relazione, dicendo che tale era elli, quale è lo geome-
- ↑ Sidi; dimori, stai, ti fermi, dal latino sido, is. E.